CON «SING», HOLLYWOOD CANTA IL SUO MEA CULPA

CON «SING», HOLLYWOOD CANTA IL SUO MEA CULPA

sing2Bastano pochi minuti di proiezione per entrare in sintonia con questo simpatico cartone, capace di unire genitori e figli. I bimbi, perché si divertiranno con dei personaggi azzeccati e positivi: mamme e papà, per la strepitosa colonna sonora pop che rappresenta un viaggio nei ricordi di ognuno. Poco importa se da un punto di vista dei dettagli, questo sia un prodotto nella norma o che sia improntato al solito riscatto dell’uomo medio che tanto piace a Hollywood. Il koala Buster Moon è l’impresario di un teatro che il padre gli aveva comprato, non senza fatica, con i suoi risparmi. Purtroppo per lui, però, i soldi non bastano per tenerlo aperto, a meno di non avere una brillante idea che possa salvarlo. Ecco allora che Buster escogita una gara musicale tra dilettanti (vi dice nulla?). Purtroppo per lui, la sua distratta segretaria, un’anziana iguana, manda in stampa il volantino modificando, per errore, il premio in denaro: da 1.000 a 100.000 dollari. Ovviamente, davanti ad un simile richiamo, tutti si mettono in fila per vincere la sfida canora. Si arriva ai finalisti: il gorilla Johnny che il babbo criminale vorrebbe trascinare con sè nelle sue attività illegali; la maialina Rosita, mamma di prole numerosa e moglie a tempo pieno, ma ignorata; la porcospina Ash, piantata senza troppi problemi dal fidanzato; il topo Mike, cinico come pochi; la timida elefantessa Meena dotata di voce meravigliosa, ma incapace di cantare davanti al pubblico. Riuscirà questo manipolo di improvvisati e talentuosi artisti a salvare l’edificio? Il pezzo forte sono le 65 cover (accennate, dai Beatles a Lady Gaga), che sentiremo in originale cantate da alcune tra le più famose star di Hollywood, che ogni protagonista animato presenta, sul palco, con appropriati balletti. Il che rende il film, in certi momenti, irresistibile, provocando risate sonore in sala. Altro che cinepanettoni. Non si pensi al classico musical perché Sing è molto di più. Principalmente è un mea culpa cantato della stessa «mecca dei sogni», un grido di allarme contro il successo troppo facile, inseguito (e a volte ottenuto) anche da chi di talento non ne possiede. In Italia, ne sappiamo qualcosa.

Il Giornale

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