Un trattato del voyeurismo compulsivo come nostalgica metafora dei tempi andati
Intanto, c’è un quadro. E c’è una banca, cioè il salto nel vuoto. Il quadro è La morte di Atteone, Tiziano. «Quando, nel 1955, iniziò a scrivere il suo romanzo, in Argentina, Gombrowicz aveva sul tavolo una riproduzione» di quel quadro, «e Atteone doveva intitolarsi quel romanzo che poi si chiamerà Pornografia». Titillando il mito, Atteone è il giovane addestrato all’arte della caccia dal centauro Chirone, che un giorno, cacciando, scopre Artemide, nuda, mentre fa il bagno: la dèa, rabbiosa, tramuta il ragazzo in cervo, che sarà poco dopo dilaniato dalla muta dei suoi cani. «Il cielo è pieno di latrati», racconta Ovidio, «l’ira della feroce Artemide non fu sazia finché per le infinite ferite Atteone non spirò». Svelare la nudità del divino reclama morte – d’altronde, la scrittura è proprio questo, denudare gli dèi, fare lo scalpo all’ultimo velo prima del vero. Prima del mito, però, c’è una banca. Nel 1955 Witold Gombrowicz, che ha già pubblicato, senza troppo clamore, Ferdydurke, lascia, dopo otto anni, il lavoro al Banco Polaco di Buenos Aires. «Un giorno non ce la faccio più e, in un raptus di eroismo dettato dalla disperazione, lascio la banca. Un salto nel buio», ricorda lui. Il buio però è luminoso – «La Mano che presiedeva alle mie sorti si rivelò benevola: subito dopo aver dato le dimissioni riuscii a ottenere da fonti diverse piccoli sussidi che mi garantivano il livello minimo di sopravvivenza. Potevo mettermi a scrivere» – e Gombrowicz, un po’ per caso, senza meta né trama, scrive Pornografia, un trattato del voyeurismo compulsivo. Il romanzo, pubblicato nel 1960, tradotto lo stesso anno da Bompiani come La seduzione («Mi hanno spiegato che una signorina italiana si vergognerebbe di chiedere la Pornografia in libreria», spiegò Gombrowicz), torna ora per il Saggiatore (pagg. 202, euro 24) nella traduzione di Vera Verdiani – già Feltrinelli, 1994 – e con un saggio importante di Francesco M. Cataluccio (La tragedia dello sguardo immaturo, che rimodula e amplia l’altro saggio, La tragedia dello sguardo, pubblicato per l’edizione Feltrinelli). La trama è rapace: un duo di guardoni – uno è l’autore – tenta di far accoppiare due ragazzi, Carlo e Enrichetta, ma visto che tra loro manca eros aggiungono il pepe di thanatos, un omicidio, per saldare l’insano legame. Come tutti i romanzi di Gombrowicz – cioè, come tutti i grandi romanzi europei – Pornografia è un romanzo di idee e di concetti, di descrizioni che deflagrano negli antri della psiche. Carlo è l’emblema della forza sorgiva, è il giovane che ha ancora il gene del divino («Metà uomo e metà bambino – il che lo rendeva insieme innocentemente ingenuo e implacabilmente esperto – in realtà non si identificava né con l’una né con l’altra entità, ma con una terza; e cioè con la giovinezza nella sua versione più violenta e sfrenata… Inferiore, perché giovane. Peggiore, perché giovane. Sensuale, perché giovane. Carnale, perché giovane. Distruttivo, perché giovane»), mentre Federico, l’amico del narratore, è l’uomo allo sfascio, patetico nel vizio, colto nel coito del tramonto («Il viso di un uomo di una certa età viene tenuto su da un tacito sforzo di volontà teso a mascherarne la decomposizione o perlomeno a organizzarla in un insieme simpatico; ma ora che in lui aveva preso il sopravvento la delusione… tutte le rughe gli si erano slentate e gli brulicavano addosso come su un cadavere. Era così molle, così umilmente vile in quella resa al proprio orrore, che lo schifo contagiò anche me»). «Sono di quelle persone che non sanno che cosa sia la mezza età: uscire dalla gioventù e sentire il sapore della vecchiaia è stato tutt’uno», dichiarò Gombrowicz, spiegando che Pornografia è il grande romanzo della giovinezza, cioè della bellezza come «pietra preziosa caduta in un letamaio… libera da stucchevoli armonie e noiosi perfezionismi». La bellezza è lorda quanto è perfetta la giovinezza per la sua imperfezione, per il suo stato barbaro, dunque divino. Romanzo della giovinezza, dunque, mica della gioventù. Quando Dominique de Roux, in quella straordinaria intervista chiamata Testamento, realizzata nel 1967 e lavorata fino alla morte dello scrittore, nel 1969, chiede a Gombrowicz, parlando di Pornografia, un giudizio sulla «rivolta dei giovani», sugli esordi del Sessantotto, beh, il polacco ha capito tutto. «È un peccato vedere, accanto a una certa autenticità, un’irrespirabile congerie di stupidità e frasi vuote! E perché? Perché questa rivolta è più opera degli adulti che dei giovani… è buffo vedere tutti questi professori e pensatori impauriti e affranti, che si sforzano disperatamente di capire i giovani e di stare al passo con la storia. Che vigliaccheria, che miseria! Invece di prendere questa rivoluzione come un grosso scherzo, le attribuiscono scopi consapevoli ed elevati». La giovinezza, esaltata con comicità cubica in Pornografia, in fondo, è una proposta estetica: Gombrowicz vuole brutalizzare le forme narrative, galvanizzare – con singulti di fogna e sintesi filosofiche – il romanzo, ridotto a esercizio didattico, servo della convenzione, della convivenza con l’ovvio. Nel 1955, mentre ipotizza Pornografia, Gombrowicz è ammesso a una cena esclusiva, con la «crema» dell’«Argentina intellettuale, estetizzante, filosofante». Tra gli altri, incontra Victoria Ocampo – «un’anziana aristocratica signora piena di milioni, la cui entusiastica ostinazione l’aveva portata a diventare amica di Paul Valéry» – e soprattutto Jorge Luis Borges, «senza dubbio lo scrittore argentino di maggior talento… un artista che il caso aveva fatto nascere in Argentina, ma che avrebbe potuto altrettanto bene, e forse meglio, essere nato a Montparnasse». In quel consesso Gombrowicz, eterno Dioniso che rotola nella melma, creatura del sottosuolo mica dell’attico, capisce che la grancassa della letteratura «ufficiale» («Esposizioni. Concerti. Conferenze. Commentari, glosse e studi. Romanzi e racconti. Raccolte di poesia») è corrotta dal virus della vecchiaia, è troppo corretta, è già morta. Lui, invece, è il portavoce del laido della giovinezza, della «gaffe creativa», della «sciatteria purché traboccante d’energia», della filosofia da postribolo. D’altronde, Pornografia – «a quel tempo era un buon titolo; oggi, con tutta la pornografia che c’è in giro, è diventato banale» – è lo sputtanamento di tutte le norme, l’elogio dello scrittore come guardone, che svela l’indicibile e fa prostituzione dei segreti. I cani che lo dilaniano, da sempre, siamo noi, siete voi, i lettori.
Davide Brullo, Il Giornale