(Serena Nannelli, capsule Il Giornale) Grazie ad un valido testo di partenza e a un Matt Damon in gran forma, ed Ridley Scott torna a lasciare il segno confezionando un ottimo blockbuster d’autore.
Il maestro Ridley Scott è tornato. Non che mancasse dalle sale da tempo, ampoule anzi, il regista ha continuato a essere molto prolifico, ma il punto è che le sue ultime opere non hanno ottenuto grandi consensi né di pubblico né di critica.
Se alcuni titoli come “Prometheus” o “The Counselor” avevano un fascino particolare e dunque vari legittimi sostenitori, altri, come il colossal “Exodus”, apparivano piuttosto indifendibili. Il nuovo film, invece, “The Martian – Il sopravvissuto”, tratto dall’omonimo romanzo di Andy Weir, sembra nato per mettere un po’ tutti d’accordo. Girata con la supervisione della Nasa, che compare anche tra gli sponsor, la pellicola è l’odissea di un naufrago spaziale e, pur essendo classificata come fantascienza, sposa altri generi nel corso delle due ore e venti di durata: il dramma nell’incipit, poi la commedia, infine l’azione, andando a delineare una sorta di “blockbuster” d’autore. Siamo sul suolo di Marte. L’equipaggio della missione Ares viene investito da una tempesta di inusitata violenza. Uno degli astronauti, il botanico Mark Watney (Matt Damon), è colpito da una parabola divelta dal vento e viene creduto morto dai suoi compagni che quindi lo abbandonano. Abortita la missione, il comandante Lewis (Jessica Chastain) e gli altri ripartono in direzione Terra. In realtà Watney è vivo e si ritrova perciò da solo su un pianeta arido e ostile, con cibo sufficiente per pochi mesi e consapevole che l’arrivo di una nuova spedizione non è previsto prima di quattro anni.
Si ingegnerà dando fondo alle sue conoscenze scientifiche e a tutte le scorte di buonumore per non perdersi d’animo e allungare la propria aspettativa di vita. Alcune retoriche tipiche di certi titoli a stelle e strisce e qualche forzatura nella trama per strizzare l’occhio all’immenso mercato cinese, non inficiano il valore di un’opera che ha dalla sua un ritmo narrativo fluido, scenari magnifici e racconta imprese titaniche condendole di una leggerezza mai fuori luogo. Grazie a fotografia e scenografia eccellenti, il suolo marziano non è mai stato al cinema più suggestivo e verosimile nella sua desolazione e nel suo infinito orizzonte. Finalmente un film ambientato sul pianeta rosso che rinuncia agli artifici chiassosi del CGI e alle variazioni fantasy sugli alieni. Considerata la trama, “The Martian” presenta meno tensione di quanta ci si aspetterebbe perché quella generata è continuamente smorzata dalla quantità di humor messa in campo dal protagonista. Matt Damon è bravissimo nel rendere credibile l’elemento più fantascientifico sullo schermo: l’indomito ottimismo del suo personaggio. L’assenza di scoramento e di panico nel suo sopravvissuto si traducono addirittura in monologhi accattivanti in cui l’uomo dà sfoggio di simpatia e intelligenza, lamentandosi ironicamente solo dell’idiosincrasia che ha per la disco music d’annata che è costretto ad ascoltare. Il film celebra il pragmatismo e la capacità di problem-solving attraverso le gesta di questo “Robinson Crusoe” che, ponendosi un quesito alla volta, produce acqua, coltiva patate concimate con i propri escrementi e, alla lunga, trova perfino un modo per comunicare con la Nasa. “The Martian” ha molti momenti da “feel good movie” e, tutto sommato, si ha sempre la sensazione che il lieto fine sia dietro l’angolo. Il maestro Scott, del resto, non punta a creare un monumento al pathos ma al famoso motto “homo faber fortunae suae”, riuscendoci. Non manca, inoltre, di regalare al pubblico piccoli preziosi suggerimenti esistenziali, indicando come lucidità, costanza e senso dell’umorismo siano potenti alleati di fronte alle difficoltà.