(di ALDO GRASSO, pharmacy Corriere) Yoav Hattab è stato ucciso, il 9 gennaio 2015 a Parigi, dal terrorista islamico Coulibaly nella serie di attentati iniziati con la strage al settimanale Charlie Hebdo.
«Io penso che la vita è un dono e non lo voglio sprecare, non sappiamo quale dono avremo domani impariamo ad accettare la vita come viene perché ogni giorno conta». Così Yoav su Facebook, in un dei suoi ultimi messaggi.
Yoav Hattab è stato ucciso, il 9 gennaio 2015 a Parigi, dal terrorista islamico Amedy Coulibaly nella serie di attentati iniziati con la strage al settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Yoav è una delle quattro vittime del supermercato kosher di Vincennes, dov’era entrato per acquistare una bottiglia di vino da portare agli amici che l’avevano invitato per shabbat. Coulibaly, il terrorista legato ai fratelli Kouachi, è entrato nel supermercato tenendo in ostaggio per ore decine di persone e ha freddato anche il ventenne Yohan Cohen, Philippe Braham di 45 anni e Francois-Michel Saada di 64 anni. La ricordiamo bene quella giornata di terrore islamista nel cuore dell’occidente giudaico cristiano.
A questo ragazzo tunisino, il secondo dei nove figli del rabbino di Tunisi, Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amalia Visintini hanno dedicato un documentario somigliante a un lumino che brilla nelle tenebre, il lumino dell’incredulità motivata, della colpa inesplicabile, ma anche della gioia di vivere: «Io sono Yoav» (Raitre, Doc, mercoledì, in onda ben oltre la mezzanotte).
Il documentario girato in Francia, Tunisia e Israele (dove Yoav è sepolto) raccoglie le testimonianze della famiglia Hattab e degli amici più cari, lega ricordi e testimonianze con le immagini e i filmini che ritraggono un ragazzo sempre sorridente.
È una storia tragica che mette bene in luce le contraddizioni della vita di Yoav: ebreo maghrebino a Tunisi, nordafricano a Parigi (in una Francia piena di tensioni verso gli immigrati), uomo di pace davanti a mitra spianati. Però, relegare questi documentari nel cuore della notte, significa non crederci, significa non credere più, se mai è esistita, alla missione del servizio pubblico.