La mia lettera d’amore a Roma

La mia lettera d’amore a Roma

Arti marziali e amatriciana, bacchette cinesi e forchette, integrazione e intolleranza. Ma anche amore, vendetta e scene d’azione fatte a regola d’arte. Sullo sfondo Roma (che non travolge il racconto), e più precisamente il quartiere Esquilino tra un “aho” (un intercalare ‘verace’ tipicamente romano) e un “ni hao” (ovvero ‘ciao’ in cinese). Dietro tutto questo c’è Gabriele Mainetti, che torna alla regia a quattro anni da ‘Freaks Out’ con ‘La città proibità’ (dal 13 marzo al cinema con PiperFilm in 400 sale e in anteprima l’8 marzo in 200 sale). “È la mia lettera d’amore a Roma con la speranza che tutti possano riconoscere che possiamo essere anche altro oltre alle meravigliose commedie che conquistano facilmente lo spettatore perché ridere è un’esperienza salvifica, ridere è importante. Ma possiamo essere anche altro”, riflette, in occasione della conferenza stampa a Roma, Mainetti, che ha scritto il film con Stefano Bises e Davide Serino. “È stata la mia compagna a convincermi a fare questo film, inizialmente volevo solo essere il produttore di questo progetto (con la sua Goon Film, ndr)”. Per Mainetti è stato “il momento giusto per tornare”, anche grazie ad “un importante sforzo produttivo (Wildside, una società del Gruppo Fremantle, PiperFilm e Goon Films, ndr), che mi ha permesso di lavorare bene e velocemente” ma “il mio lato tormentato resta, altrimenti non farei il regista”.

Al centro del film c’è Mei – interpretata dalla stuntwoman Yaxi Liu (tra i suoi lavori, il live-action Disney ‘Mulan’) – una misteriosa ragazza cinese, che arriva a Roma in cerca della sorella scomparsa. “Consapevole che nessuna attrice avrebbe potuto diventare davvero Mei in sei mesi di allenamento, ero pronto a partire per la Cina, convinto che la mia protagonista l’avrei trovata solo nelle scuole di Kung-Fu”, ma un giorno “un mio amico mi ha segnalato il suo profilo Instagram e così l’ho trovata. Tutti i grandi attori dei film d’azione sono attori, basti pensare a Bruce Lee”, ricorda Mainetti. Il destino di Mei – che le sa dare di santa ragione – si incrocia con quello del cuoco Marcello (Enrico Borello) e la mamma Lorena (Sabrina Ferilli), che portano avanti il ristorante di famiglia tra i debiti del padre Alfredo (Luca Zingaretti), che li ha abbandonati per fuggire con un’altra donna. Quando le loro strade si incrociano, Mei e Marcello combattono antichi pregiudizi culturali e nemici spietati, in una battaglia in cui la vendetta non si può scindere dall’amore. “Ho fatto un film che mi sarebbe piaciuto vedere al cinema, mi piace pensare alle storie più assurde con protagonisti personaggi veri, ancorati alla realtà. E l’ho fatto fotografando questa città in un modo diverso, in cui c’è tutto il cinema con cui sono cresciuto, come Tarantino: è grazie a lui se faccio questo lavoro”, dice Mainetti.

In questo film italiano dal sapore internazionale ci sono due capisaldi della romanità: Sabrina Ferilli e Marco Giallini, che interpreta un ‘dinosauro’ riluttante a ogni forma di integrazione (“interpreto un personaggio che è la summa di altri che ho interpretato nel corso della mia carriera”). Ne ‘La città proibita’ “mostriamo una Roma nuova, multietnica, non è lodata in maniera esagerata”, al contrario “potrebbe essere una qualunque parte del mondo”, spiega Ferilli, convinta di non lasciare mai questa città: “Non me ne andrei nemmeno se tornasse Nerone e la incendiasse”. (di Lucrezia Leombruni)

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