Nel corso della sua carriera è stata inviata di guerra e volto storico del Tg2. Poi l’emarginazione. Ora una sentenza obbliga la Rai al reintegro della giornalista
Il 2 marzo è stata una data importante per Carmen Lasorella. «Un giudice mi ha restituito fiducia e finalmente serenità. C’è una sentenza che addebita alla Rai la mia dequalificazione professionale e la condanna a restituirmi un ruolo consono al mio profilo professionale, nonché a risarcirmi dei danni per l’emarginazione subita».
È tra i giornalisti più noti della Rai: come mai è dovuta ricorrere ad un giudice?
«Sono stata costretta a difendermi. Ho tentato in ogni modo di trovare una soluzione condivisa, ma passava il tempo e continuavo a rimanere senza alcun incarico. Si può andare ogni giorno al lavoro per non lavorare? Di questi tempi è difficile ottenerlo, un lavoro, è difficile conservarlo, ma se ce l’hai diventa perfino difficile esercitarlo. Ho dedicato 30 anni alla mia azienda. Forse troppi? Dovevo essere rottamata? Mi sembra che non abbia portato bene questa filosofia al Paese. Si butta via quello che non serve più, non l’esperienza, il sapere, la passione, la giovinezza delle nuove sfide e per me è stata una grossa sfida il digitale, che ho introdotto con determinazione già quasi 10 anni fa, quando avevo diretto la piccola televisione di San Marino, partecipata al 50% dalla Rai, di cui sono stata Dg e direttore editoriale».
A San Marino?!
«Diciamo, che nella mia carriera ho incontrato spesso strade in salita. È lo scotto che paghi, quando difendi la tua autonomia professionale, che nel nostro mestiere dovrebbe essere la nostra forza, dovrebbe… e ho avuto problemi perfino sulla Rocca, dove, non potendo attaccarmi per il lavoro che svolgevo, sono ricorsi alla calunnia… lo ricordo con amarezza, considerando i progressi significativi che aveva fatto quella redazione e considerando anche che avevamo creato un vero e proprio centro di produzione tv sull’Adriatico. Sono quindi tornata a Roma».
E dunque cosa è successo?
«Sono rimasta alcuni mesi in un canto, sembrava non fossi più adatta a fare nulla, poi il CdA Rai mi ha nominato presidente di RaiNet».
Per fare cosa?
«Volevo mettere al servizio dell’Azienda l’esperienza acquisita sul digitale e nella gestione di una società di produzione Tv, invece la sensazione era del tipo: ma perché sei tornata? Comunque nel 2014 RaiNet è stata chiusa e il settore web è stato internalizzato. Sono finita in un’area tecnica. Ero l’unica giornalista tra gli ingegneri».
Quindi cosa ha fatto?
«Ho preso un lungo periodo di ferie. Avevo qualcosa come 500 giorni arretrati, ero stata anche invitata a farlo. Ma tutto era devastante psicologicamente, sono dimagrita, non dormivo. Quando poi sono rientrata, attraversavo ogni giorno corridoi vuoti e tranne gli amici di sempre la gente non mi salutava più. Quando non hai un incarico per le società dei don Abbondio, sei ai margini. Andavo in ufficio, il telefono che non squillava. Era tutto molto pesante».
Che proposta avrebbe sperato di ricevere?
«Ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro vivendolo come un impegno e non per occupare una poltrona: sono sempre stata una giornalista che prende una valigia e parte, dicendo quello che pensa. Sicuramente, poco adatta a dirigere un Tg in Rai: ci sono logiche in cui non sono mai rientrata… ma avrei potuto continuare a fare il mio lavoro, per esempio, con un programma., impegnandomi in un progetto, tornando di nuovo all’estero in una sede che fosse un prezioso osservatorio di politica internazionale, no?.. nella mia carriera ho realizzato corrispondenze da almeno una sessantina di paesi, condotto talk in prima e seconda serata, diretto redazioni, c’è stata sempre tanta passione e creatività… Sei costretta allora a porti delle domande. Mi chiedevo: ma che ho fatto? Ho rubato? Ho commesso degli errori? Rubato no, ma errori probabilmente si, almeno considerando che sono scarsa nelle “feconde interlocuzioni” come mi è stato scritto in una mail da un direttore del personale … La qualità del lavoro in Italia non basta».
E quindi cosa chiede alla Rai?
«Solo di poter essere impiegata utilmente. Non avrei mai pensato che avrei dovuto seguire la strada giudiziaria, per ottenere un titolo che mi ridesse un impiego. Ne sono contenta, ma anche amareggiata».
Cosa l’ha delusa di più?
«La posizione della Rai, che è arrivata ad usare toni sgradevoli nelle memorie difensive. Ha cercato di sminuire quello che ho fatto nella mia carriera con un’acrimonia degna di miglior causa».
Non ha mai pensato di lasciare l’azienda?
«Ho sempre creduto nel valore aggiunto del servizio pubblico, per questo non me ne sono andata. La gente mi chiede perché sono sparita e non è facile spiegarglielo. Forse lo intuisce. Personalmente, non sono attaccata morbosamente al video, ma ho imparato a domarlo, credo di cavarmela: gli spazi tv non sono da occupare ma da riempire. Ci sarebbe tanto da approfondire e in un linguaggio che intanto è cambiato nel sistema digitale».
E ora che succederà?
«Ho ricevuto una convocazione da parte dell’ufficio del personale per la settimana prossima. Vedremo cosa mi proporranno: confido che si vada oltre le parole. Altrimenti… “il tempo è l’unica è l’unica cosa di valore, che l’uomo può spendere” diceva Teofrasto. Oggi più che mai, per me è prezioso. Non ne voglio perdere altro».
di Chiara Maffioletti, il Corriere della Sera