CLINT EASTWOOD: «È LEONE IL MIO MAESTRO», A TU PER TU CON L’ATTORE E REGISTA NEI CINEMA CON “SULLY”

CLINT EASTWOOD: «È LEONE IL MIO MAESTRO», A TU PER TU CON L’ATTORE E REGISTA NEI CINEMA CON “SULLY”

clint eastwoodLa leggenda del cinema Clint Estwood è nei cinema con Sully, con Tom Hanks. Il film che ha diretto sul mitico salvataggio, quello dei 150 passeggeri del volo US Airways 1549, che il 15 gennaio 2009 ammarò nell’Hudson River, il fiume che bagna Manhattan.
Quattro premi Oscar (tre nel 1992, migliore attore, miglior regista e miglior film per Gli Spietati e uno nel 2005 per la regia di Million dollar baby) sono una garanzia: Eastwood sa esattamente quali corde toccare per suscitare l’interesse del pubblico. «Prima di partire con questo progetto mi sono fatto questa domanda: quale chiave dare a questo racconto? Dove sta il conflitto? Illustrare solo una storia di cui tutti conoscono il lieto fine non avrebbe avuto senso e così mi sono letto i documenti di quella vicenda e ho scoperto che il dramma per Sully e per il suo copilota è arrivato dopo. Ho deciso quindi di raccontare il trauma causato da quell’atterraggio di fortuna e lo stress che i piloti hanno dovuto subire, non tanto a causa del ricordo o delle circostanze dell’accaduto, quanto dell’inchiesta che ne è seguita».
Sullenberger fu sottoposto a un’indagine che durò diciotto mesi, durante i quali tutto, del suo modo di operare quel famoso 15 gennaio, fu messo in discussione. Fu la scelta giusta quella di Sullenberger o forse avrebbe potuto tornare indietro, all’aeroporto di partenza, e così rischiare ancora meno e recuperare il velivolo? «Con questo film cerchiamo di rispondere a queste domande» spiega Eastwood, che nella sua lunga e avventurosa vita ha anche avuto a che fare con un episodio sorprendentemente analogo. Era il 1951 e aveva solo 21 anni, quando il biposto che lo stava portando da Seattle a Sacramento ammarò nell’oceano, nei pressi di Point Reyes. Lui e il pilota si salvarono nuotando fino a riva: «Non arrivarono i soccorsi, nessuno si accorse di cosa era successo, dovemmo quindi nuotare sino a riva e, una volta a terra, arrampicarci su per una collina, per un altro paio di chilometri, sino a raggiungere una stazione radio e lanciare finalmente i soccorsi».
Anche quando racconta una delle numerose avventure della sua vita, il tono di voce di Eastwood è pacato e molto basso. «Ho imparato a non urlare sul set dei film western. Se alzavi la voce spaventavi i cavalli. Ricordo certi registi che gridavano “azione” così forte che al momento di girare, sul set non c’era più nessuno, i cavalli erano scappati via con, ovviamente, in sella i cavalieri. Suggerivo loro di limitarsi a sussurrare un “andiamo”, a bassa voce, ma molti di loro amavano sentirsi importanti e urlare “azione” li faceva sentire importanti».
IL GRANDE CINEASTA
Non Sergio Leone però. Lui non aveva bisogno di certi trucchetti. «Ho lavorato con molti grandi registi, Sergio Leone resta uno dei più grandi. Ho sempre amato osservare come i registi di altre culture si approcciavano al cinema, imparare trucchi e sfaccettature che magari non sempre poi è possibile applicare al cinema hollywoodiano, ma che entrano comunque a far parte della tua professionalità e della tua vita e che alla fine hanno una profonda influenza su di te. Anche coloro con i quali non ho mai avuto modo di lavorare hanno influenzato la mia carriera. Ho ammirato John Huston e Federico Fellini e, pur non avendo mai recitato con loro, vedere i loro film mi ha fatto cogliere altri punti di vista, altre idee interessanti». C’è però un aspetto della sua abilità di regista che non ha appreso da nessuno. Clint Eastwood non ripete mai la scena due volte. «Be’, qualche volta lo faccio, ma se sono soddisfatto di come è stata girata la prima volta, perché girare di nuovo? Sono sempre stato veloce a prendere le decisioni. Mi fido del mio istinto e penso che la prima scelta sia sempre quella giusta. È come quando a scuola dovevo fare un compito a risposta multipla. Se ci pensavo su era la volta che sbagliavo».
Non ha ripensamenti nemmeno per quanto riguarda le idee politiche. Repubblicano da sempre, ha appoggiato anche un candidato poco convenzionale come Donald Trump e quando questo ha vinto ha esultato: «Grazie America, non ho ancora molto da vivere ma so che i prossimi anni saranno grandiosi, non posso ringraziare abbastanza il Presidente Trump», ha scritto sul suo account Twitter.
Le sue idee politiche non hanno rovinato l’armonia sul set di Sully, nonostante le idee diametralmente opposte di Tom Hanks e il suo aperto appoggio a Hillary Clinton. «Non abbiamo parlato di politica, per il resto, per quanto riguarda il lavoro, io vado molto d’accordo con i miei attori. Lascio loro libertà, se vogliono fare qualcosa di differente dalle righe del copione lascio fare, se vogliono improvvisare li incoraggio, se non se la sentono non devono farlo per forza. Così facendo il livello delle personali insicurezze rimane minimo, non si corrono mai troppi rischi e la tensione non sale». Del cinema di oggi non ama i troppi film tratti da fumetti. «Non è roba che fa per me, ho amato i fumetti da ragazzo. Ricordo ancora quando lessi la prima edizione di Superman e pensai che sarebbe stato fantastico realizzarci un film, ma sono della generazione sbagliata purtroppo».

Francesca Scorcucchi, il Messaggero

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