Nel suo spettacolo spuntano Donizetti e il regista Michieletto. “È musica che arriva al cuore. Gli ascolti? Mi piace il rischio”
Mika male. Ci voleva uno showman anglo-franco-americano-libanese perché si parlasse di qualcosa di arcitaliano come l’opera lirica in prima serata sulla Rai (vero che Mika è colto, poliglotta, cosmopolita: per gli standard Rai, praticamente un alieno). Tant’è: martedì a Stasera CasaMika, il suo programma su Rai2, si sentirà anche L’elisir d’amore di Donizetti. Raccontato con la complicità di Damiano Michieletto, il più importante regista lirico italiano, uno che dice di sé di «essere pop, perché l’opera è superpop» e spiega che la divulgazione «non va fatta trasmettendo nozioni, ma passione».
Mika, lei è appassionato d’opera?
«Molto. Del resto, è stato il mio primo contatto con il mondo dello spettacolo. A otto anni, cantavo fra le voci bianche della Frau ohne Schatten di Strauss al Covent Garden, diretto da sir Georg Solti. A differenza di quel che molti pensano, l’opera è sì un genere antico, ma non morto».
In pratica, come sarà il melodramma a CasaMika?
«Parto dalla famosa sequenza di Tom Hanks in Philadelphia con la Callas che canta lo Chénier, perché con la musica lirica il rapporto è molto più intimo di quanto non sia nel pop o nel rock. Poi mi sposto nella cucina di Casa e, mentre racconto la trama dell’Elisir, dal frigorifero esce Nemorino che attacca “Quant’è bella, quant’è cara”. E comunque l’opera a CasaMika non finirà qui».
No?
«No. Nella puntata seguente sarò l’autista di un pulmino che va a prendere gli anziani di Casa Verdi e li riporta alla Scala: emozionante per me e per loro. E nell’ultima puntata parleremo di Butterfly».
Crede che l’opera sia ancora una componente dell’identità italiana?
«Secondo me, sì. In Francia a riunire il Paese c’è la Storia, in Inghilterra la Royal Family. In Italia, una cultura “alta” che però è capace di parlare a tutti. E di affascinare anche gli stranieri. Io da ragazzino studiavo canto e ho imparato le parole delle arie antiche prima di saper anche solo ordinare un caffè in italiano (e qui attacca Già il sole dal Gange di Scarlatti. Verdetto: tenorino leggero leggero ma intonatissimo, ndr).
In tivù, però, la musica «colta» ha una consolidata fama da ammazza ascolti…
«A CasaMika sugli ascolti siamo, come dire?, molto punk. È un programma importante e costoso, ma ci piace prendere dei rischi pur di far arrivare al cuore della gente. E l’opera lo fa, che tu abbia 13 anni o 83».
La sua opera preferita?
«Parsifal».
E la produzione recente che ricorda con maggior piacere?
«Il viaggio a Reims con la regia di Michieletto. Un titolo noioso che lui ha trasformato in un divertimento continuo. Dopo averlo visto, gli ho proposto di collaborare».
Ultima domanda: perché c’è un rapporto così stretto fra opera e omosessualità?
«Questo lo deve chiedere a Damiano, che è l’uomo meno gay che ci sia al mondo, anche se è molto amato dai gay perché è un gran figo».
L’ultima risposta spetta quindi a Michieletto: «Credo che l’opera sia soprattutto canto. E la voce è una placenta, che accoglie e culla tutti. Senza esclusioni».
Alberto Mattioli, La Stampa