(Tiziano Rapanà) King of Crime, la nuova trasmissione di Roberto Saviano andata in onda ieri sera su Nove e su altri canali del gruppo Discovery, mi ricorda un film con Al Pacino, 88 minuti. Non è uno dei suoi film più noti, da noi è uscito solo in dvd. Si tratta di un thrillerino gradevole, ma abbastanza scontato. Un tempo per definire un film del genere sarebbe stato definito “televisivo”. Quel termine intendeva di solito un film di una qualità indegna di beneficiare della distribuzione in sala. La storia non era un granché: Al Pacino, attenzionato da un criminale in cerca di vendetta, ha 88 minuti per salvarsi la pelle e così via. Recuperatelo se avete voglia di un momento divagante. Comunque, ve l’ho menzionato perché appunto King of Crime me l’ha ricordato. Probabilmente si tratta di una citazione occulta, magari Saviano ha apprezzato il film, comunque la sua trasmissione è identica alla scena della lezione di criminologia all’università, dove Al Pacino spiega ai suoi studenti un comportamento criminale. Cosa che fa esattamente Saviano in king of Crime: spiegare i comportamenti degli esponenti più importanti della criminalità organizzata (nella prima puntata lo scrittore ha parlato di Paolo di Lauro), a degli studenti universitari. Ovviamente Saviano non è Al Pacino. Non ha lo charme né l’allure del grande attore. Sicuramente ha i tempi giusti, ma non è un mattatore della scena. È solo sé stesso, nel bene e nel male, giacché ripete il suo personaggio protagonista dei monologhi visti da Fazio e dalla De Filippi. Non c’è una novità nel linguaggio audiovisivo né si tenta un nuovo modo di raccontare la criminalità. È una trasmissione, per certi versi, ostaggio dei cliché narrativi dello scrittore. Tutto sommato non è male (soprattutto l’intervista, postilla al racconto, fatta al collaboratore di giustizia Maurizio Pestieri), però non è nulla di originale.
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