Il muratore di Mapello, condannato all’ergastolo per l’omicidio della 13enne, sta scrivendo un libro sulla vicenda per ribadire la sua innocenza
Massimo Bossetti, il carpentiere di Mapello, in provincia di Bergamo, condannato all’ergastolo per la morte della tredicenne Yara Gambirasio, non si arrende. In carcere riflette, studia, lavora. E in una lettera-appello scritta al conduttore di «Iceberg» su Telelombardia Marco Oliva e che «Oggi» anticipa nel numero in edicola da domani, ripete di essere innocente: «Lo ribadirò finché ne avrò le forze, non sono io la persona che ha ucciso la piccola Yara, non ho minimamente idea di cosa potrebbe essere successo.
Confermo la fiducia al mio legale, l’avvocato Claudio Salvagni e a tutto il suo pool che stanno percorrendo tutte le piste alternative senza tralasciare nulla di intentato».
E annuncia di stare scrivendo un libro: «Dopo quanto abbiamo subito io e la mia famiglia, è inevitabile la stesura di un memoriale, non crede? Voglio fare un appello pubblico a chi di dovere, a chi custodisce i reperti del mio caso: chiedo che venga garantita la massima custodia e conservazione, che non vengano distrutti come accaduto in altri casi, affinché un domani la mia difesa possa fare un’ulteriore accurata indagine. Il timore che possano andare irrimediabilmente distrutti è alto, basti vedere quanto è avvenuto nel caso di Rosa e Olindo… Non per niente come me sono stati allegramente condannati all’ergastolo due sprovveduti, i coniugi di Erba». E si firma «Massimo Bossetti, prigioniero di Stato».
L’avvocato difensore, Claudio Salvagni, racconta al Quotidiano Nazionale che Bossetti ha iniziato a scrivere già un anno fa: «L’idea – sottolinea il legale nell’intervista – è quella di un libro a quattro mani, alternandoci un capitolo io e uno Massimo». Ma ancora non è stato trovato un editore.
Simona Sirianni, Vanity Fair