Bello e asciutto, «Hachsaw Ridge» racconta la storia del primo obiettore di coscienza Usa
«Un uomo comune, del tutto comune, che fa delle cose straordinarie è ciò che rende una storia leggendaria. Gli studios cinematografici traboccano di scenari con supereroi inventati: io che con Hollywood ho un rapporto, come dire, di sopravvivenza, ho pensato fosse arrivato il momento di celebrare un eroe vero. Questo racconta Hachsaw Ridge».
Dieci anni dopo il discusso e discutibile Apocalypto, Mel Gibson ritorna dietro la macchina da presa conservando intatti qualità e difetti. E’ uno dei migliori registi di scene belliche, riesce a trarre il massimo dagli attori, sa che una buona sceneggiatura è già metà dell’opera, ha un senso sicuro dello spettacolo. L’altro lato della medaglia è una specie di ossessione mistica, coniugata con una sorta di sadismo rosso-sangue: dolore e preghiere, mutilazioni ed espiazioni, delitti e castighi, la sofferenza come strada, non sempre certa, verso la salvezza. In un paio di scene di Hachsaw Ridge, Andrew Garfield, l’attore che interpreta Desmond Doss (obiettore di coscienza ed eroe di guerra senza mai sparare un colpo e però salvando vite) è Gesù Cristo in una campo di battaglia: la doccia liberatoria dopo una notte di fatica e di morte è il suo corpo-sudario che sprizza sangue; la barella con cui lo porteranno via quando verrà colpito, la deposizione dalla croce…
Accarezzandosi di continuo la bianca barba a punta che gli dà un’aria di stravagante predicatore, Gibson naturalmente non nega di essere attratto dal tema della fede: «Certo, il film è anche questa cosa qui, anzi, la sua essenza è la convinzione religiosa di Desmond Doss. Lui va avanti armato soltanto della fede e questo mi interessa al massimo, perché per tutto il resto Desmond rientra nei canoni della normalità, è l’uomo medio americano e non è un fanatico. Poi, naturalmente, è anche un film contro la guerra, la odio come credo tutti, e tuttavia è un modo per onorare i guerrieri, ciò che hanno visto, sofferto e superato. La sindrome del reduce, dal Vietnam ai giorni nostri, è qualcosa che gli Stati Uniti conoscono bene».
Hachsaw Ridge è il nome che gli americani diedero a un costone dell’isola di Okinawa, ultima e disperata ridotta giapponese nel Pacifico. Fu lì che il soldato Doss, inquadrato nell’assistenza medica, portò in salvo 75 feriti e si guadagnò la Medaglia d’Onore del Congresso, fra le massime onorificenze Usa, la prima data a un obiettore di coscienza. La sua era una fede religiosa tanto semplice quanto frutto di esperienze personali, che il film presenta con molta intelligenza. Figlio di un padre infelice, manesco e alcolizzato, ragazzino temperamentale e violento, Doss riuscì a governare le proprie pulsioni con l’accettazione dei comandamenti e l’ingresso nella Chiesa Avventista. Non c’era nulla in lui di particolarmente profondo, frutto di speculazioni filosofiche e/o teologiche: c’era un affidarsi a Dio perché Dio in qualche modo gli avrebbe dato la risposta giusta. Anche il suo pacifismo fu il risultato di un percorso individuale. Dopo Pearl Harbour, l’idea di non partecipare alla Seconda guerra mondiale gli ripugnava: sentiva che non era giusto lasciare ad altri il compito di difendere il Paese. E infatti si arruolò volontario a ventitré anni… Anche qui il film non è mai banale nel raccontare lo scontro fra la macchina militare che deve trasformare i suoi soldati in strumenti di morte e uno di essi che, pur rifiutandosi di uccidere, difende l’idea che si possa combattere salvando le vite dei propri commilitoni: «cooperatore cosciente» è come del resto lo stesso Doss preferirà definirsi, al posto di obiettore di coscienza… «E’ un uomo che nel modo più puro e altruistico dice ancora Gibson – quasi d’istinto mette ripetutamente a rischio se stesso e lo fa in nome della fratellanza d’armi».
Una bella pagina, asciuttamente retorica, nel libro degli eroi solitari, disperati e apolitici raccontati da Mel Gibson nel corso di una carriera bella e drammatica.
Stenio Solinas, il Giornale