“Con l’app, ora la tv sullo smartphone. Le nomine? Non ho sentito Renzi”
«Non abbiamo un pensiero unico», assicura Antonio Campo Dall’Orto. Al contrario, «coltiviamo un unico pensiero, che poi è quello di ammodernare l’azienda, essere davvero plurali, innovare nel rispetto delle diverse anime e demografie di chi ci guarda». Un anno e (quasi) un mese dopo essere entrato in Viale Mazzini, il dg della Rai tratteggia il bilancio della sua esperienza «intensa» e promette altri cambiamenti, a partire dalla app Raiplay che dal 15 settembre «farà vedere tutto a tutti e gratis» sullo smartphone, per arrivare all’idea di una linea di News per l’estero in inglese da lanciare nel 2017. Giura di aver digerito la polemica politica sulle nomine, non teme Bolloré con Mediaset, nega di essere più renziano di Renzi. «Siamo qui per essere giudicati – concede -, però è sempre meglio che succeda quando si è finita l’opera e non quando si deve ancora cominciarla».
Di primo mattino, con l’umidità che sale dal Lago di Como, Campo Dall’Orto pesca fra i ricordi freschi per dare profondità alla sua battaglia di guru della Media Company arrivato nel più invidiato dei carrozzoni nazionali. «Abbiamo recuperato dieci anni in dieci mesi», è il mantra in cui più sembra riconoscersi, anche se di mesi ne sono trascorsi tredici.
Facciamo ordine. Tre cose per caratterizzare il suo primo anno in Rai?
«Sarebbero di più, però comincio dalla trasformazione digitale che ha trovato forma nei successi dei recenti eventi sportivi, gli Europei e le Olimpiadi. La seconda è come siamo riusciti a dimostrare l’attenzione per le famiglie, ad esempio eliminando la pubblicità dal canale per i piccoli. Il terzo è il fatto di essere entrati in connessione con il paese, gli ascolti dimostrano che siamo un collante culturale».
Qual è la sua “Incompiuta”?
«C’è ancora troppa burocrazia. Qui avrei voluto essere più veloce. Ad esempio, occorre più di un anno per acquistare delle telecamere in un mondo in cui gli standard cambiano ogni due. E’ un freno per l’efficienza complessiva».
Due cose per l’anno che arriva?
«Il lancio di Raiplay, è la prima: partiamo da zero e in ritardo, ma se riuscissimo ad avere due milioni e mezzo di famiglie in un anno vorrebbe dire che abbiamo cambiato il profilo del nostro mezzo e di chi lo segue. Poi i contenuti, i programmi con le nuove frontiere che sono il mondo dei ragazzi, la cultura e l’estero: tutto è coerente col nostro progetto per raccontare l’Italia».
A chi, all’estero?
«Sinora ci siamo rivolti agli italiani fuori dal Paese. Vogliamo andare oltre, anche oltre la lingua italiana. La Rai parlerà anche inglese, con le fiction internazionali sino ad un’eventuale notiziario per il pubblico straniero».
Avremo Rainews, o parti di Rainews in inglese?
«All’inizio sarà più la seconda. Ci saranno programmi in inglese. Già dal 2017. Dobbiamo decidere se vogliamo un servizio in lingua inglese o un canale. L’importante è valicare i confini».
Siete stati pesantemente criticati per le nomine dei Tg. Normale?
«Abbiamo scelto dei profili che hanno lunghi percorsi e professionalità consolidate all’interno dell’azienda. Anche solo la copertura del dramma dei terremoti ha dimostrato che il nostro racconto è equilibrato e ha i giusti toni. Dovremmo essere giudicati dopo aver agito, non prima».
L’hanno definita più «renziano di Renzi». Davvero non vi siete sentiti?
«No, no. Abbiamo avuto piena libertà di agire. Questa Rai è molto articolata, un corpo in cui convivono anime diverse. C’è Berlinguer, Santoro, Vespa, Semprini, Sortino. Il giudizio spetta al pubblico sulla base dei diversi mondi che riusciamo a raccontare con voci diverse. A fine stagione si tirano le somme».
E’ stata un’idea buona pubblicare gli stipendi più alti?
«La trasparenza è un obbligo di legge, un elemento importante nel rapporto fra azienda pubblica e cittadini. Richiede consapevolezza e non funziona se è un sostituto della fiducia, perché a quel punto non ce n’è mai abbastanza. La realtà è che così si è acceso anche un faro su più di vent’anni di comportamenti non sempre mirati agli interessi aziendali. E che si aggiunge una componente di pressione positiva sui comportamenti di tutti i giorni».
Torniamo a Raiplay. Cosa c’è dentro?
«Ogni nostro contenuto, registrato e in diretta. Permetterà alle persone di attingere dall’archivio quando vogliono e dove vogliono. E’ un servizio che dà tutto a tutti. Non è visionario, perché tutti sono pronti a riceverlo».
Come guadagnate?
«L’investimento è significativo. Avremo più costi. Ma è compreso nel canone e non ci sono problemi».
Se Bolloré sbarca con Mediaset in Italia è un’opportunità o una minaccia?
«Come servizio pubblico, credo che qualunque evento che porti maggiori investimenti sia positivo. La concorrenza fa bene. Abbiamo cooperato con Sky e Netflix. Ora stiamo dialogando con Amazon. Tutti i soggetti sul mercato sono possibili partner. Più siamo e meglio stiamo».
Arrivano i nuovi talk show. Si urlerà ancora molto?
«L’ultima stagione dei talkshow è stata meno gridata, abbiamo cercato di informare attraverso il confronto. Il nuovo programma di Semprini (Politics) ha la caratteristica di essere lungo la metà dei precedenti e più asciutto. Vogliamo raccontare a fondo il Paese stando dentro il Paese, con più immagini e meno parole»
Cosa vedremo questo inverno?
«Abbiamo oltre quaranta programmi in arrivo, il 30% del palinsesto è inedito. Cambiano molte cose. Il sabato sera parte una serie di spettacoli musicali – con Zucchero, Zero, Il Volo. La domenica sera, due fiction a cui teniamo molto: il ritorno di “Braccialetti rossi” e una coproduzione internazionale, “I Medici”. Ancora fiction fuori da Ra1, come “Il Commissario Schiavone” (Rai2). Su Rai3 Semprini, Pif e Mika. Chi guarda la tv, giudicherà per la somma di tutte queste cose».
Marco Zatterin, La Stampa