Servendosi di armi «filologiche» simili a quelle usate da Marco Santagata qualche mese fa per risalire all’identità di Elena Ferrante, il giornalista scozzese Craig Williams sostiene di aver scoperto chi veramente è il più elusivo e quotato fra gli artisti visuali contemporanei, il post-graffitista Banksy. E, udite udite, salta fuori che Banksy è sostanzialmente napoletano, o meglio: che è un frutto pregiato (uno dei molti) dell’emigrazione napoletana, giacché si tratterebbe di Robert «3D» Del Naja, ovvero di una delle due teste pensanti della band trip-hop Massive Attack. Uno che è sì nato nel 1965 a Bristol, la città inglese sull’estuario della Severn dove si sa che anche Banksy è nato, ma è figlio di un padre giunto fin lassù da Napoli.
Ma come è arrivato Williams a questa conclusione? Semplice: ha seguito gli itinerari battuti dai Massive Attack nei loro tour, e li ha comparati con le progressive apparizioni di nuove opere di street art firmate Banksy. Sono così saltate fuori coincidenze impressionanti. Per dire: a San Francisco, California, nel maggio 2010 vennero contati ben sei nuovi interventi murali di Banksy (compreso il celebre «This Will look nice when it’s framed»), e proprio pochi giorni prima i Massive Attack s’erano esibiti nella città del Golden Gate. Una settimana dopo, la band andò a Toronto, Canada, e tre nuove opere apparvero nelle strade della metropoli dell’Ontario. Lo stesso, poco dopo, a Boston. La ricerca ha tracciato sequenze del genere per diversi anni, e si è rivelata produttiva anche rispetto ai primordi dell’attività di Banksy.
Per quanto riguarda Napoli, ha rivelato che la nostra è l’unica città italiana in cui l’artista ha lasciato traccia di sé, a partire dalla «Madonna con la pistola» del 2004. Del Naja è un grande ammiratore di Napoli, e un tifoso marcio del Napoli calcio. «Quando sono venuto la prima volta a trovare i miei parenti», ha dichiarato una volta, «sono andato direttamente al San Paolo. Il calcio fa emergere in maniera immediata l’anima di un popolo, il modo in cui celebra gli avvenimenti ed esprime le proprie emozioni. Sono rimasto impressionato dai colori e dalla passione che hanno conquistato il mio cuore».
Del Naja e la band hanno insomma un rapporto vero con Napoli. Lo si vede bene in un documentario di Channel 4, e poi, ovviamente, ci sono le collaborazioni con gli Almamegretta e con Raiz, con cui Del Naja ha inciso «Karmakoma- The Napoli trip», eseguita anche quest’estate all’Arena Flegrea. Se qualcuno obiettasse che nel 2004 i Massive Attack non suonarono a Napoli, Williams risponderebbe che tuttavia sappiamo come Del Naja, il 26 settembre di quell’anno, fosse tra gli spettatori del match di C1 Napoli-Cittadella. Ecco dunque che anche la «Madonna con la pistola» viene a trovare una plausibile collocazione nella griglia approntata dal giornalista di Glasgow.
Nel gioco incrociato delle identità, Banksy ha spesso ribadito di avere un rapporto con Del Naja, che del resto, prima di diventare un musicista radicale, è stato anch’egli un graffitaro e, anzi, una specie di pioniere della tecnica dello stencil applicato alla street art. Banksy ha detto più volte di aver subito l’influsso artistico di Del Naja. Che a sua volta ha raccontato della sua collaborazione di tanto tempo fa con l’artista a Bristol. C’è persino una prefazione di Banksy al volume «3D & the art of Massive Attack» (2015) dove si legge che «quando avevo dieci anni, un ragazzo di nome 3D faceva graffiti per le strade, poi smise e formò la band dei Massive Attack, cosa buona per lui, anche se ha implicato una brutta perdita per l’arte della città».
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: ma perché soltanto Del Naja dovrebbe essere Banksy, e non tutti i Massive Attack, compresi i tecnici e il resto del personale che viaggia con loro? Perché insomma non pensare, come del resto si è già fatto in passato, che Banksy sia in realtà un collettivo? E perché la nuova pista dovrebbe essere più credibile di quella, enucleata soltanto nello scorso marzo dagli scienziati della Queen Mary University che, servendosi della tecnica del «geographic profiling» usata per individuare i criminali e incrociando i luoghi di Londra e Bristol in cui sono comparse opere di Banksy coi movimenti di una serie di sospettati, sono giunti alla conclusione che l’artista è davvero quel tale Robin Gunningham di Bristol, oggi quarantenne con una nota passione per il disegno, il quale già nel 2008 fu indiziato di essere Banksy?
Ma Gunningham ha sempre smentito, come del resto sono state smentite tutte le varie ipotesi formulate anche prima. La prova regina, insomma, non c’è. Ma questa ipotesi napoletana, ammettiamolo, ha un suo indubbio fascino.
Francesco Durante, il Messaggero