Gabriele Tinti, autore dei versi ispirati al Pugilatore a riposo, racconta l’incontro con l’attore americano e l’idea di portarlo nella capitale per una performance che ha sorpreso il mondo
Contattare e convincere il due volte premio Oscar Kevin Spacey, più conosciuto come il Presidente Underwood di The House of cards, di recente scagionato dalle accuse di molestie sessuali per il ritiro delle medesime, a recitare a Roma a Palazzo Massimo nella sede del Museo Nazionale Romano lo scorso venerdì 2 agosto alcuni dei suoi componimenti ispirati al Pugilatore a riposo, la statua bronzea attribuita a Lisippo, uno dei più importanti capolavori arrivati sino a noi dall’antichità, non è stato affatto complicato.“È sufficiente fare un giro in rete e i riferimenti online si trovano con facilità. Così, in modo assolutamente spontaneo, un paio di mesi fa ho mandato una email al suo manager… di fatto tutto è nato così… lui ha risposto subito, apprezzando il coraggio e la particolarità della mia proposta. E per me è stato un onore che lui abbia accettato di leggere i miei versi”. Chi parla è Gabriele Tinti, quarantenne poeta di Jesi, tra i più quotati nel suo genere e i cui libri di poesia sono conservati nei maggiori centri di ricerca della poesia internazionale come la Poets House di NYC, il Poetry Center di Tucson, la Poetry Foundation di Chicago, la Poetry Collection di Buffalo e la Poetry Library del South Bank Centre a Londra.Del suo contatto con il famoso attore americano, all’Agi racconta di andare spesso negli Stati Uniti per lavoro, “così quando Spacey ha risposto al mio invito ci siamo incontrati una prima volta a Baltimora, abbiamo parlato e poi ci siamo promessi di realizzarla e poi la cosa si è mossa e ha preso piede con molta velocità”.
Ma come l’ha realmente convinto a recitare il Pugilatore a riposo?
“Esattamente come le ho detto. Il problema non sono i contatti, il problema è avere l’idea. È stato davvero semplice”.
E Spacey come ha reagito?
“Lui è stato molto generoso ha messo grande desiderio e impegno in questo progetto e quindi l’abbiamo realizzata. L’idea di dare voce alla statuaria antica, di donare nuova vita alle spoglie, ai frammenti, a quel che resta del nostro passato, ha incontrato la sua sensibilità e profonda passione per l’arte. La sua generosità e disponibilità nel voler far accadere la lettura ha reso tutto il resto semplice. Ha messo nella collaborazione una intensità di partecipazione da me inaspettata, a testimonianza del grande artista che è”.
Ma la scelta del testo è casuale o ci sono riferimenti con la vicenda personale di Kevin Spacey?
“In verità no, nonostante qualche fonte inglese abbia riportato che abbia scritto questi testi per lui, non è così. I testi sono stati letti in precedenza da Franco Nero, Alessandro Haber e Robert Davi. Non sono testi scritti appositamente per lui, poi chiaramente le persone ci leggono delle implicazioni, interpretando chiaramente la fatica così come anche la gioia di vivere. Che poi il pugile così come l’artista sono persone che in quello che fanno si impegnano”.
E il parallelismo quale sarebbe, in questo caso?
“Nel momento in cui il pugile sale le scalette ed entra in un quadrato che è il ring per dare spettacolo. E lo dà attraverso un combattimento. L’artista e lo scrittore lo fanno nella loro stanzetta, nella loro intimità, al riparo da occhi indiscreti, creando un’opera. Ma sono entrambe opere, in un caso come negli altri. E nel momento in cui si realizzano esprimono fiducia nella vita. E questo desiderio è comunque sempre sofferenza. È sempre lotta, è sempre battaglia. E quindi in questo molti associano questa trama con ciò che è accaduto a lui di recente, con la sua vicenda personale”.
Ma lei cosa ha visto nel Puglie-Kavin Spacey?
“Di fronte al Pugile non ho potuto far altro che cantare tutta la fragilità, la solitudine, il peso d’una vita drammatica. Rappresentato dall’artista nell’atto di volgere il capo nel mentre qualcosa di speciale sta accadendo (Kairós), il pugile è seduto, fortemente segnato da ferite profonde e da un copioso sanguinamento su tutto il lato destro del corpo. Non sappiamo con certezza che cosa significhi quel volgersi del capo: è forse l’ascolto del verdetto del giudice? O una nuova chiamata al combattimento? È uno sguardo alla folla incitante? O forse una muta interrogazione a Zeus alla ricerca di una qualche risposta? Le numerose controversie scaturite nel tentativo di spiegare quel gesto ha fondato tutto il mistero e la poesia, tutta la seduzione, dell’opera”.
E di Kavin Spacey che impressione si è fatto?
“Direi molto bene. È una persona generosa. Si è dato completamente al progetto, si è impegnato con grande dedizione. E poi l’ho visto sereno, di una serenità psicologica e filosofica. Come le ho già detto ha messo nella collaborazione una intensità di partecipazione da me inaspettata”.
Alberto Ferrigolo, Agi