Che vita faticosa: è andata in onda per 885 minuti alla settimana, per un’intera stagione. Tra mostri, bulli scatenati e neofascisti
Quattro ore e quarantacinque la domenica. Quattro ore il martedì sera. Un’ora e dieci, dal lunedì al venerdì. Per un totale di 885 minuti alla settimana, oltre quattordici ore passate sotto una pioggia di kilowatt, davanti alle telecamere, a parlare, continuamente, incessantemente, esclusivamente, con dei mostri. Giorno dopo giorno, per ore e ore senza palesare apparenti segni di cedimento emotivo, Barbara D’Urso si rimbocca le maniche, scopre le belle gambe e intervista, come se fosse seria, opinionisti che raramente hanno avuto un’opinione degna di chiamarsi tale, buffi soggetti con un grande futuro dietro le spalle, inediti mutanti e politici che utilizzano il suo studio come fossero dirette Facebook.Per un palinsesto intero, eccezion fatta per il sabato che è riservato alle ospitate negli altri programmi, l’aggiornamento social e probabilmente per una pipì veloce, la conduttrice si accomoda in punta di poltrona e come un ottimo soldato del re Auditel elargisce spazio a dietologi delle meraviglie capaci di dispensare senza remore intrugli miracolosi, alle vittime di operazioni estetiche devastanti che si fanno risucchiare adipe da ogni dove, e ai ragazzoni che come Pinocchi al contrario vorrebbero diventare burattini.Un continuo senza sosta di relazioni, per lo più in diretta, con personaggi innominabili. E per abbassare l’asticella, impresa non facile a onor del vero, ogni tanto introduce gustose varianti, come i fascisti del terzo millennio che possono vantare nel curriculum tatuaggi nazisti cancellati prontamente e partecipazione a gruppi il cui motto è «perché devi sedurla se puoi sedarla». Barbara li sceglie, li ospita, li cura, poi si stupisce del razzismo, dei bulli scatenati, del livello che precipita. Così li sgrida e li strapazza, infine li perdona, e li mescola come nulla fosse ai mostri ordinari, quelli che urlano, ma non tutti insieme, solo tre per volta altrimenti non si capisce. No, la vita di Maria Carmela detta Barbara non ha paragoni, giusto qualche tratto in comune con l’eroico minatore Etienne Lantier di Germinal, ma senza che ci sia uno straccio di Zola disposto a raccontarla. Al massimo qualche copertina sul Chi di Signorini. Che con tutto il rispetto non regge il confronto.
Beatrice Dondi, L’Espresso