La storia della figura di Bonaparte nella cultura popolare è in larga parte la storia dell’ossessione del mondo anglofono per un grande avversario dalla cui ombra continua a essere tormentato. E se, da stereotipo, i pazzi si credono Napoleone è perché l’imperatore francese è stato il primo vero eroe borghese
Duecento anni dopo la morte di Napoleone, non si contano i film, i romanzi, gli spettacoli teatrali, le canzoni, le pubblicità, i cartoni animati e i videogiochi che hanno come protagonista il grande condottiero. Se Bonaparte è diventato un’icona pop così indelebile e perché lo fu già in vita. E il merito fu degli arcinemici inglesi che lo trasformarono in caricatura.
L’iconografia del generale corso, più che del quadro di Jacques-Louis David che lo mostra mentre valica il Gran San Bernardo a cavallo, è debitrice delle innumerevoli pubblicazioni satiriche nei quali gli illustratori albionici, da James Gillray a George Cruikshank, lo ritraevano come un piccoletto bizzoso e megalomane. Anche laddove veniva dipinto con sembianze animali, bastava l’inconfondibile copricapo bicorno per far comprendere subito chi fosse il soggetto rappresentato.
In realtà, a quanto risulta dall’autopsia condotta da Francesco Antommarchi, Napoleone sarebbe stato alto oltre un metro e settanta, più di Horatio Nelson. Se i soldati lo chiamavano, con affetto, le petit general era per la sua vicinanza alla truppa e la relativa frugalità che lo portava a prediligere cibi spartani e un abbigliamento funzionale. Eppure la convinzione che la smania di conquista di Bonaparte fosse legata alla frustrazione per la scarsa statura è talmente inestirpabile dal credo popolare da aver portato lo psicologo Alfred Adler a teorizzare, nel 1908, una sindrome che ne porta il nome.
Un eroe romantico e borghese
La sovrapposizione tra identità reale e deformazione fittizia è parte del destino dei Grandi. La propaganda negativa, poi accentuata dalla Restaurazione, non è però sufficiente a spiegare perché una delle personalità più dirompenti della storia moderna sia diventata così facilmente personaggio. Senza scomodare romanzi celebri come Il Conte di Montecristo e Guerra e Pace, la domanda alla quale bisogna rispondere é perché, nella cultura pop, il matto di turno immagini sempre di essere Napoleone (almeno prima dell’avvento dei social network: oggi, come ha fatto notare Marcello Veneziani, i mitomani sono peggiorati e si credono loro stessi).
Una parziale risposta è che Napoleone è stato il massimo eroe borghese, qualcuno con cui quel settore della società che nel XIX secolo aveva conquistato il mondo poteva identificarsi. Anche il cancelliere Bismarck aveva un’eccellente potenziale iconico ma, per quanto si possa essere pazzi, è difficile credersi lui se non si proviene dalla nobiltà agraria.
Bonaparte è stato quindi il primo grande sogno della classe media. Non già, come negli anni ’50, una casa di proprietà e un’automobile, bensì un impero e la gloria eterna se si era riusciti a dimostrare il proprio valore sul campo e imparare a muoversi negli ambienti che contano. Un inglese che lo amava, Lord Byron, lo cantò come il prode romantico per eccellenza, solitario e padrone del suo destino, uomo nuovo per il secolo nuovo.
Per gli inglesi, un simbolo di tirannia
Il consolidamento di una fama negativa è comunque indissolubile dall’anglocentrismo della cultura popolare novecentesca, che ha reso Napoleone l’emblema stesso della tirannia. Il dispotico maiale della Fattoria degli animali di George Orwell si chiama Napoleon. E un altro dei più noti scrittori inglesi del dopoguerra, Anthony Burgess, nel suo Napoleon Symphony tratteggiò un ritratto irridente del generale, funestato dall’infedeltà coniugale e da sgradevoli malanni fisici. Nella musica pop si trovano altri esempi. In ‘Powerman’, incisa nel 1970 dai londinesi Kinks, Napoleone è accostato a Gengis Khan e ad Adolf Hitler. E nel 1996 la cantautrice americana Ani Di Franco, in ‘Napoleon’, paragonò al Primo Console i musicisti che si vendono per la smania di successo.
“Napoleone è stato un uomo che conquistò il mondo due volte e poi diventò il simbolo del diavolo, che è il modo in cui fu descritto in Inghilterra“, spiegò Jack Nicholson, che Stanley Kubrick aveva scelto come interprete dell’imperatore nel suo più noto progetto mai realizzato. Le pellicole dedicate a Bonaparte sono numerosissime; la prima fu firmata addirittura dai fratelli Lumiere, gli inventori del cinema. A dare il volto a Napoleone sono stati alcuni dei più grandi attori della storia del grande schermo: Marlon Brando, Rod Steiger, Dennis Hopper, Claude Rains.
Storia di un’ossessione
Ancora più ricca la produzione televisiva, per lo più angloamericana, spesso derisoria e malevola. A far perdere le staffe alla Napoleon I Society, uno dei principali enti dediti a salvaguardare la memoria di Bonaparte, non furono però le tante parodie canzonatorie bensì un episodio del 1964 del “Doctor Who” nel quale il protagonista viaggia nel 1794 e assiste a un complotto di Napoleone per rovesciare Robespierre. “La Bbc ha il dovere di non dare informazioni scorrette ai bambini“, tuonò M.M.G. Oborski, segretario dell’associazione.
La storia di Napoleone nella cultura pop è quindi in larga parte la storia dell’ossessione del mondo anglofono per lo spettro di un formidabile avversario dal quale continua a essere tormentato. Una coazione a rimpicciolire, nella finzione, una figura gigantesca che ha lo scopo di scacciare la consapevolezza, scomoda sia a Londra che a Washington, che un tempo al mondo ci fu qualcun altro capace di conquistare le nazioni non solo con la forza delle armi ma anche con quella di una promessa di libertà.
agi.it