l 4 febbraio a Pechino sono iniziati i Giochi invernali 2022. Dove sono in gara l’inarrestabile Sofia Goggia e le altre campionesse azzurre delle neve
Le atlete italiane alle Olimpiadi invernali 2022
C’è chi sfreccia sulla pista e chi volteggia in aria. Chi scivola sul ghiaccio a 140 all’ora e chi spara con precisione millimetrica. Ecco le campionesse azzurre da tenere d’occhio alle Olimpiadi invernali di Pechino.
Sofia Goggia a Pechino
Sofia Goggia sì che ci prova. Dopo l’ultimo, terribile infortunio al ginocchio, sta dando tutto per scendere in pista ai Giochi invernali. Scommettiamo che ce la farà. Perché l’ha già fatto infinite volte: cadere, rialzarsi, vincere. Andando sempre al massimo. Come scriveva in un tema alle elementari…
Sofia Goggia è come ci piacerebbe essere: una che si butta nella vita, senza paura di cadere, di rompersi, di soffrire. Non avrebbe senso chiederle di andare più piano, di essere prudente, di tenere la giusta distanza. Anche se con il capitombolo in SuperG a Cortina ha messo a rischio i Giochi invernali, a Pechino dal 4 al 20 febbraio, lasciando il ruolo di portabandiera azzurra all’amica Michela Moioli, bergamasca come lei. E costringendosi a una corsa contro il tempo per riuscire a disputare la discesa libera del 15 febbraio.
Ci piace proprio per questo. Perché non fa calcoli, non si risparmia, dà tutta se stessa.
Quando è andata a sbattere contro le reti ad Altenmarkt, a metà gennaio, suo padre le ha scritto su WhatsApp: «Se vuoi che muoia, dimmelo». Sofia ha raccontato che 2 giorni dopo, il lunedì, non riusciva neppure a camminare. Il sabato ha vinto la discesa di Coppa del Mondo a Cortina, sulla sua pista del cuore. La domenica è partita per il SuperG: una spigolata esagerata, il volo a 92 chilometri orari, una spaccata innaturale. Si è rialzata ma faceva no con la testa. Aveva già capito: trauma distorsivo del ginocchio sinistro, lesione parziale del legamento crociato già operato nel 2013 e piccola frattura del perone. Apriti cielo: sui social si sono moltiplicati quelli convinti che avrebbe dovuto scendere col freno a mano tirato. Quelli che evidentemente non la conoscono.
Sofia era alle elementari quando scrisse in un tema: «Da grande voglio vincere l’oro all’Olimpiade in discesa libera». Ci è riuscita 4 anni fa, in Corea. Prima e dopo è stato un susseguirsi di inferni e paradisi, e lei li ha attraversati uscendone ogni volta più forte. «Abbiamo dentro una forza inimmaginabile, dobbiamo solo trovare il modo per usarla». Lei per riuscirci lavora sulla sua mente, da 2 anni anche con l’aiuto di una psichiatra: «Arrivi a un punto in cui puoi migliorare soltanto se riesci a crescere interiormente. Cerco di assomigliare a come mi immaginavo da bambina. Vorrei mantenere la stessa capacità di sognare che avevo quando scrissi quel tema da piccola».
Chiederle di andarci piano non ha senso.
Sofia non è capace di alzare il piede dall’acceleratore. E non si è ancora stancata di ricominciare da capo. La prima volta non aveva ancora 15 anni: rottura del legamento crociato e del menisco esterno del ginocchio destro. Prima dei Giochi del 2014, a Sochi, toccò al sinistro: crociato e due menischi. Da allora un’alternanza impressionante di fratture, interventi, recuperi. Feroce lo stop di un anno fa, quando fu costretta a saltare i Mondiali a Cortina per essersi fratturata il piatto tibiale destro scendendo su una pista turistica a Garmisch, in Austria. «Gli infortuni ti ricordano che la natura ha i suoi tempi, e tu non puoi fare altro che rispettarli». Anche quando vorresti sederti in un angolo e piangere, perché le Olimpiadi sono troppo vicine.
Quando il tuo mestiere è andare più veloce delle altre, la lentezza diventa un premio.
«Non vedo l’ora di potermene concedere un po’, il mio lusso è mezza giornata soltanto per me ». Con gli amici di sempre, e con i suoi animali. Belle, la sua cagnolina. Ambrosi, la vitellina che ha avuto in premio l’anno scorso per aver vinto in Val d’Isère. O le Selvagge, le 2.500 galline che alleva in un bosco sotto Selvino: ascoltano musica classica tutto il giorno e fanno uova biologiche per il ristorante di Cracco a Portofino. «Mi piace anche andare lì a dare una mano quando posso. Cerco di ricordarmi che cosa sarei stata se non fossi diventata chi sono».
Essere Sofia Goggia non è sempre una strada in discesa
«Non mi sono ancora stancata di essere la Goggia. La vita di un atleta professionista è pesante, è uno stress anche avere addosso gli occhi di molte persone, ma a me la pressione delle gare piace, sono sempre stata affascinata dalla sfida». Eccone un’altra, allora: provare a presentarsi alle Olimpiadi 20 giorni dopo un disastro così. Piscina, crioterapia, laser, palestra, tekar, neanche un minuto da perdere per qualcosa che non sia rimettersi insieme, piegare il dolore, andare oltre: «Mi basta essere a posto fisicamente perché tutto funzioni: ho una testa allucinante, in questo credo di essere la più forte».
Sofia Goggia è come vorremmo essere
Una che sa accettare quello che le succede, prenderlo come un’occasione per capire qualcosa in più di sé, senza perdere neanche un minuto a sentirsi sfortunata. Le cicatrici si devono vedere, ci ricordano che prima sono state ferite. Le ossa e i tendini non saranno mai quelli di prima, ma possono essere anche meglio. Sofia è istinto e musica. «Mi sento una chitarra elettrica, ma suono il pianoforte perché mi rilassa. E mi aiuta a livello cognitivo: coordinare due mani che toccano tasti diversi a differenti velocità allena la mia capacità mnemonica». Ha un altro passo, un’altra velocità. Avete presente quando è al cancelletto di partenza e mima con le mani la discesa che sta per fare? È la sua sinfonia. Tutti tifiamo per vedergliela suonare ancora, ai Giochi.
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