LUCHÈ: «IO, NATO A GOMORRA, MI GODO L’EUFORIA DEL SOLD OUT»

LUCHÈ: «IO, NATO A GOMORRA, MI GODO L’EUFORIA DEL SOLD OUT»

Titta Fiore - NOTITLEQuella di oggi potrebbe essere una data spartiacque per il rap newpolitano, da qualche tempo in fase di stallo, creativo, ma non solo. Il concerto di Luchè al Palapartenope, annunciato alla Casa della Musica e promosso nella sala grande per sold out in prevendita, segna la prima volta di un artista hip hop con simili numeri di biglietti venduti: si va per i 5.000. Luca Imprudente (così all’anagrafe, classe 1981) ne è consapevole e si prende il merito, ma senza esagerare: «A Napoli, anzi in Campania, c’è arte in strada, figurarsi nelle jam rap. È tempo che esca fuori un ventenne con cose originali da dire in modo originale, ma, nell’attesa che lui abbia fiducia in se stesso e che qualcuno creda in lui… mi godo questa sensazione euforica».
Che cosa succede, Luchè?
«Succede che… la gente paga per vedermi e non c’è trucco di marketing, né strategia. Nemmeno un manifesto per strada, una prevendita avviata quasi tre mesi fa, nessuna data nei grandi centri campani per attirare i fans a Napoli. Ma io, e chi lavora con me, potevo al massimo sperare di riempire la Casa della Musica, non certo il Palasport dove suonava Pino Daniele e nessun rapper, partenopeo e non, si era mai azzardato prima d’ora. Speriamo che, oltre che un riconoscimento alla mia musica, sia anche un segnale all’ambiente: che possiamo fare cose all’altezza della scena milanese lo sappiamo da tempo, se dimostriamo che possiamo fare i paganti di un evento meneghino… beh… allora le cose potrebbero cambiare».
Con 12.746 copie vendute finora, il suo ultimo album, «Malammore», il terzo da solista, è al numero 114 dei più venduti in Italia. La risposta live di stasera moltiplica quel risultato.
«Credo che a Napoli, e non solo, serva una voce che dica le cose come stanno. Credo che l’identità paghi, di essere riuscito a farmi comprendere: dopo essere stato protagonista di una pagina importante con i Co’Sang, adesso sono nuovamente al centro della pista. Posso rappare di strada o di amore, ho il mio stile, inseguo quello che sarò: non faccio dischi perfetti anche perché così posso crescere ancora».
Dicevamo dei Co’Sang: finirono nel derby tra gomorristi e antigomorristi.
«E noi, nati a Gomorra, dovemmo prendere le distanze dalla deriva gomorrista per difendere la nostra libertà d’azione. Ma io vengo da Marianella, mi porto dentro, nel bene e nel male, la mentalità di chi è nato ai margini della città, dove si spara e si spaccia e si butta il sangue. La serie tv mi ha convinto più del film, ha usato il pezzo che dà il titolo al disco… Ma per me non è questione di finzione, ma di anagrafe: vengo da li, forse sono diventato a mia volta la dimostrazione che chi viene da li può anche fare altre cose, altre vite: sto investendo i miei soldi, dopo la pizzeria Bravi Ragazzi a Londra scommetto ancora nella ristorazione, mi piace. Aprirò un Bravi Ragazzi anche a New York e poi un ristorante italiano e una panineria ancora nella capitale inglese. Così saprò che cosa fare quando il suono urban sarà solo la mia passione e non anche il mio lavoro».
Che show vedremo, questa sera?
«Tosto, ancora e sempre poesia cruda, puro Luché style, con un piccolo aiuto dagli amici Guè Pequeno, Marracash, Da Blonde, Coco, Mad Brains, DRoss: saliranno sul palco con me».

Federico Vacalebre, Il Mattino

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