Il coreografo racconta la sua infanzia difficile nel podcast One More Time: «Picchiava me e mia madre, che osava difendermi». Finché, un giorno, lui non gli disse basta
«Non gli stavo simpatico, si vergognava di me, della mia S moscia. Era il primo a chiamarmi “frocetto”. Mi diceva di stare zitto. Spaccava oggetti, e alzava le mani. Su di me e su mia madre». È un Luca Tommassini chirurgico, e apparenentemente senza più rancore, quello che racconta il rapporto complicato con il padre Mauro.
Il ballerino e coreografo di tante star mondiali (Madonna, Prince, Michael Jackson tra gli altri) ha ricordato la sua infanzia nella nuova puntata di One More Time, il podcast di Luca Casadei in cui i personaggi raccontano i loro successi, le loro cadute e le loro rinascite.
«Mio padre era meccanico vicino a Primavalle, all’epoca zona dove mettevano gli avanzi di galera», ha ricordato. «Col tempo divenne campione di Formula 3, iniziò a spendere i soldi in auto e donne. E iniziò a non abitare quasi mai in casa». Quando ci abitava, però, era peggio: «Usava molto le mani, e mandò diverse volte mia madre in ospedale. Una volta mi tirò in faccia un posacenere di cristallo, di quelli anni 70, quadrati. Non parlai per settimane. Mi portarono da uno psicologo per superare questo mutismo: ovviamente di nascosto da mio padre».
Di nascosto da suo padre, un giorno Luca fece qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita: «A 100 metri da casa mia Enzo Paolo Turchi aprì una scuola di ballo. Mia madre mi disse: “Ci vuoi andare?”. Sì che volevo. Lei mi iscrisse, e mi pagò la scuola coi soldi che risparmiava di nascosto da mio padre».
Il giorno che per la prima volta si ribellò, racconta a One More Time, fu quando suo padre scoprì la danza nella sua vita: «Il giorno che scoprì che mi ero iscritto alla scuola di ballo, venne a pranzo, per rimproverarci tutti. Mia madre iniziò a difendermi. Lui stava urlando, prese una bottiglia d’acqua di vetro, la spaccò contro un muro e andò contro mamma. Io mi misi in mezzo e per la prima volta gli urlai in faccia: “Vattene, vattene!”. Finché non se ne andò. Tirai fuori la forza che in realtà non avevo, mi inventai il coraggio. E a volte inventarsi il coraggio serve». Oggi, Luca Tommassini pensa a quel che è stato. Non ha rimpianti, se non un pensiero. «Quando mio padre è morto, ho pensato solo a quell’occasione mancata». Un’occasione d’amore mancato.
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