La popstar ha intimato al presidente di non usare più i suoi brani nei comizi. In particolare ha espresso la sua rabbia per aver sentito ‘Happy’ durante un evento poche ore dopo la sparatoria nella sinagoga di Pittsburgh
Pharrel Williams non ha gradito l’uso della sua musica ai raduni politici di Donald Trump e, attraverso il suo legale, ha intimato al presidente Usa di non suonare più le sue canzoni agli eventi pubblici ai quali interviene. “Pharrell non ha e non vi darà il permesso di suonare pubblicamente o trasmettere o diffondere la sua musica”, ha scritto Howard King, avvocato della popstar afroamericana.A fare infuriare Williams è stata l’idea, decisamente inopportuna, di suonare la sua Happy al comizio al quale Trump è intervenuto, poche ore dopo che un uomo armato aveva ucciso undici persone in una sinagoga di Pittsburgh. “Nel giorno dell’omicidio di massa di 11 esseri umani per mano di uno squilibrato nazionalista, ha fatto partire la canzone Happy davanti a una folla nell’ambito di un appuntamento politico in Indiana”, ha scritto King nella lettera. “Ma non c’era nulla di felice nella tragedia inflitta al nostro Paese sabato e non è stato concesso alcun permesso per l’uso di questa canzone con questo scopo”. King afferma che l’utilizzo di Happy senza consenso costituisce una violazione del copyright. “Pharrell non ha concesso, e continuerà a non farlo, il permesso di eseguire pubblicamente o diffondere la sua musica”, ha aggiunto.Non è la prima volta che il presidente ha problemi con i musicisti: già i Rolling Stones, Adele, Steven Tyler, Neil Young, Michael Stipe, il fratello di Prince e altri gli hanno intimato di smettere di usare i loro brani a scopo elettorale. Andando indietro nel tempo, c’è chi ricorda lo stop imposto da Bruce Springsteen all’allora presidente Usa Ronald Reagan, che usò la sua Born in the Usa per la campagna elettorale a metà degli anni 80.
Repubblica