«Io non sono Gianni Morandi», dice Miriam Leone giocando sul fatto che non è ancora riconosciuta da chiunque, oscillando nella sua duplicità, ora scanzonata ora pudìca e riservata. Marilyn ha gli occhi neri di Simone Godano (dopo l’anteprima al Festival di Bari arriva dal 14 nelle sale in 300 copie) è la storia di due anime alla deriva, due emarginati in un rehab, un centro di riabilitazione, ed è una prova d’attore: Stefano Accorsi fa Diego, pieno di tic e scatti d’ira; Miriam Leone è Clara, una mitomane.
Miriam, era importante essere credibili, ridere con loro e non su di loro.
«Sì, ma vede che diciamo loro, non noi? Abbiamo lavorato nel rendere l’umanità di quelle persone, frequentando un rehab, mescolandomi a loro, non essendo Gianni Morandi, e camuffandomi. La gente per strada mi dice: lo sai che somigli a Miriam Leone? Io rispondo: me lo dicono in tanti, sono meglio io».
E al rehab…
«Ho conosciuto una ragazza aveva i capelli verdi: sono i colori di Napoli, mi ha detto. Mi ha colpito la poesia. Un giorno stavo poco bene, il loro commento: come stai male. Nella società siamo pieni di giusta distanza, lì le distanze si azzerano, sono diretti».
Clara è convinta di essere un’attrice e non lo è.
«L’altro da noi è dentro di noi, non altrove. Mettiamo da parte il diverso perché non vogliamo vederlo, ciò che non è conforme alla norma ci fa paura. Ma potrebbe succedere anche a noi. Lo dice Vasco, l’equilibrio sopra la follia».
A Catania, da ragazza, lei ha detto di sentirsi diversa.
«Ti sembra di vivere una discesa agli inferi invece è un’ascesa. Era un modo di vedere le cose che dovevo capire. Per essere autentici bisogna conoscersi. La cosa bella del film è che, in questo processo, ognuno aiuta l’altro. Clara è mitomane per abbellire una realtà che la ferisce. Io mi sentivo diversa anche fisicamente, si rivolgevano a me come se fossi una straniera».
La prendevano in giro per le sopracciglia folte?
«Eccome, al liceo mi dicevano che ero Elio delle Storie Tese. Oggi è divertente perché ho un’età. Ma perché me la dovrei prendere se sui social mi insulta, per dire, Giuseppino88? La facilità nel criticare il prossimo sono chiacchiere da bar che valgono zero. Le cose cambiano nei giovanissimi, vedo un’accettazione importante della diversità. Ci ho messo una vita ad accettare la mia faccia».
Detto da una Miss Italia…
«La gente mi vede bella e non riesco a capire. Non sono mai contenta del mio aspetto. Ma in questo film, io che non mi rivedo mai, mi sono emozionata a rivedere i cambi di registro in una stessa scena».
Lei non poteva che fare cinema: suo fratello si chiama Sergio Leone, proprio come il regista.
Sorride: «Infatti io dico a tutti che sono la sorella di Sergio Leone, senza specificare troppo. Avevo la vocazione dell’attrice ma ho fatto di tutto per non diventarlo, temevo il fallimento, non sapevo da dove cominciare».
Lei, Miss Italia nel 2008.
«È stata una porta per l’emancipazione, il mio provino davanti a milioni di persone. Dopo ho potuto camminare da sola, sperimentare, conoscere l’affetto delle persone. Ogni giorno in un luogo diverso, dai paesini a New York. La corona devi restituirla: ne ho fatta una copia che conservo in bagno. Mi serviva una testimonianza. Un giorno, quando sarò anziana, la mostrerò a figli e nipoti e dirò: sono stata Miss Italia».
È stata conduttrice tv.
«Non era il mio posto, dovevo dire quello che piaceva e non quello che pensavo. Allora meglio il silenzio. Sognavo di sposare Piero Angela, mi toglieva due-tre ore di studio. Gliel’ho detto e lui: mmmh, arrivederci signorina».
Lei, da ragazza…
«Ero una ribelle. Capelli colorati quando non usava, vestiti ai mercatini e se spendevo più di 5 euro non andava. Un look da scappata di casa».
Si è appena sposata.
«Con Paolo Carullo, non è un personaggio pubblico. Il mestiere che mi porta in un altrove, è bello avere una parte di vita così. Alle nozze c’era gente da tanti paesi della Sicilia, stare di nuovo a contatto è bellissimo».
Lo sa, vero, che quando uscirà il film su Diabolik dove fa Eva Kant diventerà come Gianni Morandi?
«Io lo adoro, con quelle mani enormi…».
Valerio Cappelli, corriere.it