Non poteva che essere una sala cinematografica la location scelta da Samuele Bersani per la presentazione di “Cinema Samuele”, il nuovo album di inediti, anticipato dal singolo “Harakiri”. Sono passati sette anni da “Nuvola numero 9”, ultima sua uscita discografica, sette anni durante i quali, confessa Bersani davanti alla platea di giornalisti, ha vissuto un momento di estrema difficoltà “che mi ha impedito di scrivere anche la lista della spesa”, un blackout professionale dal quale il riminese di adozione bolognese si è ripreso solo grazie ad un lungo percorso che lo ha portato ad allontanarsi per molto tempo dalla sua Bologna, da sempre scenografia delle sue opere. “Cinema Samuele” infatti prende vita dopo un anno passato a Milano e un altro a Parma, con la scrittura delle musiche, pratica ormai rara, sulle quali poi Bersani incastra la propria poetica intensa e leggera, narrativa e coinvolgente, di altissima fattura, che lo celebra, proprio nel giorno del suo 50esimo compleanno, tra i grandi del cantautorato di oggi e di ieri.
Dieci brani come dieci film, tutti trasmessi in un multisala emozionale dove ognuno, come spiega, “è libero di scegliere quale storia ascoltare”.La sua di storia Bersani la racconta senza mezze parole, lui che si definisce più sensibile che sensitivo, e “Cinema Bersani” rappresenta la fine di un incubo personale, tant’è che tra le parole dei dieci “cortometraggi” si percepisce del disagio che però non prevale sulla voglia e la capacità di trovare quella che definisce “un’uscita di sicurezza”.
Il disco accolto con entusiasmo dalla critica specializzata, segna con precisione una linea netta tra il cantautorato impegnato, che rappresenta la parte più luccicante della storia della musica moderna del nostro paese, e ciò che va per la maggiore in classifica, la piega presa dal mercato, “C’è fame di roba bella, – dice – c’è fame di belle canzoni, meno ‘despaciti’, meno reggaeton. Amo il rap ma non la trap, è una direzione che non riesco a seguire”, le uniche due citazioni che si permette sono quelle di Salmo (“Lo trovo eccezionale, è un autore”) e del giovanissimo Fulminacci; per il resto “Tanta fuffa uscita dai talent”, ma “è anche vero che una casa discografica è un’azienda e gli unici dischi che vendono a quanto pare sono quelli dei ragazzi”. A salutare il ritorno di Samuele Bersani anche tanti colleghi, uno su tutti Cesare Cremonini il cui messaggio privato, racconta, “mi ha molto emozionato, parole da gentiluomo, da principe”.
Entusiasmo del pubblico e degli addetti ai lavori dettato anche da una lunga attesa, in barba a Daniel Ek, CEO di Spotify, che ha dichiarato lo scorso agosto che un artista non può più permettersi di uscire ogni tre/quattro anni; Samuele Bersani risponde con un disco cui genesi è durata praticamente il doppio, un disco artigianale, costruito parola su parola, andando anche contro i più stretti collaboratori che, secondo quanto racconta, trovavano già ottime le prime versioni dei brani; ma il suo lavoro, forse più che in altri momenti della sua carriera, come dichiara, è stato più certosino, più preciso, quasi chirurgico: “Mi piaceva l’idea di stare chiuso in casa come un artigiano a fare le mie canzoni in cuoio” dice, in un momento in cui effettivamente “Già scomparire per sette mesi è tanto, rischi di essere dimenticato”.
Tanti naturalmente i temi trattati in “Cinema Samuele”: i soprusi, la noia, il consumismo, l’incomunicabilità, fino all’amore e alla lotta infinita tra presente e passato raccontata in “Il tuo ricordo”, canzone alla quale lo stesso Bersani ammette di essere particolarmente legato. Nel 2021 il disco sarà portato sul palco con un tour che partirà dal Teatro degli Arcimboldi di Milano il 18 aprile per poi toccare Bari, Catania, Bologna, Roma, Torino e Firenze; “è bello incontrare le persone con le buste della spesa in mano ma sento il bisogno di quel tipo di contatto” dice riferendosi ai live.