Venezia, Pedro Almodovar: “Il mio Human Voice come un duello”

Venezia, Pedro Almodovar: “Il mio Human Voice come un duello”

 L’amore quando è disperato ed è messo alle strette mostra, prima di morire, mille sussulti, alti e bassi, proprio come racconta ‘The Human Voice’, tratto dalla pièce omonima di Jean Cocteau. Qui una donna sola consuma l’ultima telefonata con l’uomo che l’ha lasciata, prima umiliandosi, poi, presa dall’orgoglio, inalberandosi per ricadere alla fine nelle parole: ti amo. La lettura di questo classico, fuori concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, da parte di Pedro Almodóvar e interpretato da Tilda Swinton è ovviamente tutta personale: tanto melò d’autore, un appartamento colorato ricostruito in uno studio cinematografico, l’inquietante acquisto di un’ascia da parte della protagonista e, infine, una massiccia riscrittura del testo di Cocteau nel segno di una sua modernizzazione, come, ad esempio, correggere la “l’eccessiva remissione della donna abbandonata presente nell’originale”.

“Questo testo di Cocteau mi ha sempre affascinato – dice il regista in conferenza stampa – tanto che compare anche nel mio ‘La legge del desiderio’, in una scena molto breve, e in ‘Donne sull’orlo di una crisi di nervi’. Questa telefonata che non arriva mai e questa donna sola, assieme a un cane anche lui abbandonato, è una situazione drammatica che mi ha sempre interessato moltissimo”. Certo continua il regista per la prima volta impegnato in un film totalmente in inglese: “Dovevo appropriarmi del testo come aveva già fatto Rossellini con protagonista Anna Magnani, ma volevo farlo in modo diverso, quasi opposto, in tutta libertà rispetto a Cocteau. Volevo insomma riscrivere il testo come fosse un duello”. E a chi gli chiede se ne ‘La voce umana’ ci sia qualcosa di autobiografico, risponde il regista: “Certo anche io ho vissuto questa situazione, anche io ho atteso invano”.

L’ultima svolta creativa di Almodovar la spiega così: “Ultimamente preferisco una narrazione meno contenuta e con meno elementi e questo per analizzare le cose in modo più profondo”. E proprio in questo senso nel futuro del regista spagnolo: “Due piece brevi. Una di 45 minuti e una di venti. Si tratta di un western molto particolare e di un lavoro che tratta di sale cinematografiche in un tempo distopico”. E infine da un imbiancato regista anche la sua formula per spingere le persone a tornare al cinema: “Prima di venire qui pensavo che il Covid ci ha costretti a stare tutti a casa che a un certo punto abbiamo visto come una prigione. Quanta fiction abbiamo visto per riempire il tempo e quanto la fiction è necessaria e ci ha aiutato. Per questo propongo il cinema come cura. Ovvero uscire da casa per andare in sale e condividere l’avventura di un film emozionandosi al buio insieme a degli sconosciuti”.

Francesco Gallo, ANSA

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