«Cronista della gastronomia», così si fa chiamare Edoardo Raspelli, che martedì sera ha raccontato il suo punto di vista sulla gastronomia bergamasca in un incontro organizzato presso il Palazzo Colleoni a Cortenuova dal Rotary Club Romano di Lombardia (in collaborazione con Rc Dalmine Centenario e Rc Soncino Orzinuovi). E questo titolo se l’è meritato in quarant’anni di carriera, girando l’Italia dei sapori in lungo e in largo. E a Bergamo e alla sua provincia dedica un posto speciale: «In questa zona c’è tutto. Dalla ristorazione di qualità: solo per citarne alcuni “Le tre lanterne” di Martinengo, il “Caffé Rubini” a Romano di Lombardia, “Il saraceno” e il “Giordano” a Cavernago; ai prodotti come le patate di Martinengo, il Moscato di Scanzo e la mozzarella di latte di bufala prodotta a Cologno al Serio» racconta. «Inoltre ci sono un grandissimo commercio e distribuzione di pesce di alta qualità: un posto che io adoro e reputo uno dei migliori in Italia per il pesce è il ristorante “Marina” di Olgiate Olona dei Possoni, originari proprio di Martinengo e Romano». La passione di Raspelli per la cucina e la gastronomia nacque grazie a un’intuizione di Cesare Lanza (allora direttore del «Corriere d’Informazione») che nel ’75 lo incaricò di creare una rubrica dedicata alle recensione dei ristoranti, a cui si aggiunse l’anno dopo il famoso «faccino nero» con il ristorante peggiore della settimana: nasceva così la critica gastronomica in Italia. «La cosa che mi rende più soddisfatto della mia carriera è stato il cambiamento», racconta Raspelli. Il giornalista milanese esordì come cronista di nera: «Quando ci fu l’omicidio Calabresi fui il primo giornalista ad arrivare sul posto. Ho visto il piccolo Mario Calabresi, l’ho visto bambino e ora è direttore di “Repubblica” – ricorda Raspelli -. Ma quella pozza di sangue è indelebile nella mia mente. Del resto, è grazie alla cronaca che si impara a fare il giornalista». Il racconto continua poi, dietro domanda di un signore del pubblico, con il riferimento alla violenza subita ancora minorenne da un gruppo di coetanei durante il soggiorno in un collegio a Chiavari e svelata solo la scorsa estate: «Quello che all’inizio era solo un esercizio di stile (un articolo scritto per raccontare la propria storia, ndr) si è trasformato inaspettatamente in un periodo di introspezione e confessione. È stato molto doloroso. Alla mia età ti poni molti interrogativi, dal punto di vista psicologico è un dramma». La chiusa però è dedicata al mondo della cucina: «Non mi spaventa la tecnologia, ma il suo risultato, il fatto che gli ingredienti non sappiano più di niente. Mi auguro che l’agricoltura abbia sempre più spazio, come presidio del territorio. L’importanza che Pasolini dava ai dialetti per la lingua, io la do ai piatti della tradizione per la cucina».
Carolina Di Domenico, L’Eco di Bergamo