Emily in Paris, è (di nuovo) polemica: l’accusa del ministro ucraino

Emily in Paris, è (di nuovo) polemica: l’accusa del ministro ucraino

Emily in Paris sembra una serie nata per far discutere. Sulla carta è come la Nutella, dovrebbe piacere praticamente a tutti: parla di moda, è ambientata nella capitale della Francia tra croissant e baguette, vanta un cast di giovani di bella presenza e belle speranze. Cosa potrebbe andare storto? È creata da Darren Star, il papà di Sex and the City. E invece no, come dimostrano le polemiche attorno alla seconda stagione, attualmente su Netflix.

L’ultima critica nei confronti dello show su una rampante manager che viene mandata dagli States in Francia (Lily Collins) viene mossa dal Ministro della cultura ucraino. Addirittura? Ebbene sì: il politico ha guardato le puntate e ha trovato offensivo in modo in cui Petra (Daria Panchenko), una new entry della serie, è stata dipinta. Il personaggio è, appunto, di origini ucraine, e s’imbatte nella protagonista durante un corso di lingua ma ha l’abitudine del taccheggio, il che non depone proprio a suo fare. 

Dopo due giorni dalla messa in onda Oleksandr Tkachenk, sul suo canale Telegram, ha commentato: «In Emily in Paris vediamo la caricatura di una donna ucraina, il che è inaccettabile. Per non dire oltremodo offensivo. È così che siamo visti all’estero? Come gente che ruba, pretende le cose gratis e ha paura di essere rimpatriato? Non dovrebbe essere così». Per quanto, insomma, consideri la serie un buon intrattenimento, non condivide lo stereotipo diffuso dalle varie puntate. 

Che la serie attinga a mani basse con leggerezza ai cliché non è una novità: parte del pubblico britannico ha storto il naso per la rappresentazione di Alfie (Lucien Laviscount di Snatch!), un loro connazionale, mentre gran parte degli spettatori francesi hanno considerato un insulto la rappresentazione dei parigini come snob e poco accoglienti.

C’è persino chi pensa che proprio lo scandalo nei confronti della serie e della doppia nomination abbia portato alla messa in discussione dei Golden Globe. L’associazione della stampa estera HFPA a Hollywood è infatti finita nel mirino di un’approfondita inchiesta del Los Angeles Times, accusata di favoritismi e privilegi (oltre che di mancanza di inclusività). Cosa c’entra tutto questo con Emily in Paris? A 30 membri è stato offerto un viaggio stellare con due notti in hotel a cinque stelle nella capitale francese per visitare il set. E, voilà, il racconto con Lily Collins – delizioso, certo, ma non certo pionieristico – si sarebbe guadagnato la corsa all’ambito riconoscimento. Questa sarebbe l’equazione corroborata da altre indagini della stampa a stelle e strisce, che poi ha portato a cancellare l’edizione 2022 della serata di premiazione in tv e a una riforma interna dei membri.

Ma diciamocelo francamente: la serie, adorabile guilty pleasure in tempi di pandemia, non può né deve essere presa sul serio. Darren Star lo ha detto a The Hollywood Reporter e lo ha ribadito al Festival della TV di Monte-Carlo«Gli stereotipi sono anche quelli americani e la parte divertente della prima stagione era proprio quella»

VanityFair.it


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