In ‘Il bene mio’, ho rivisto il mio Elia in sfollati di Genova
Senza riappropriarsi “della propria memoria, una comunità difficilmente può ritrovare se stessa”. Una frase nella quale Sergio Rubini racchiude l’anima del suo personaggio, nel film Il bene mio di Pippo Mezzapesa che dopo il successo alla Mostra del Cinema di Venezia, nelle Giornate degli Autori, arriva in sala il 4 ottobre con Altre Storie. Nel film, che viene presentato il 3 ottobre in anteprima per gli abitanti di Amatrice, Rubini regala un’interpretazione straordinaria nei panni di Elia, rimasto solo a vivere a Provvidenza, paese devastato da un terremoto, nel quale il protagonista ha anche perso la moglie, rimasta sotto le macerie della scuola in cui era maestra. Il resto della comunità ha preferito lasciarsi il passato alle spalle e si è spostato nella vicina Nuova Provvidenza, ma lui, nonostante le preghiere del sindaco e cognato (Francesco De Vito) e degli amici di una vita, Rita e Gesualdo (Teresa Saponangelo e Dino Abbrescia), non si arrende. Ogni giorno ricerca, recupera e custodisce oggetti e ricordi, pur di non far lasciare morire il paese. Gli sarà d’aiuto l’arrivo improvviso di una giovane migrante, in fuga, Noor (Sonya Mellah). “Mi ha molto colpito vedere che gli sfollati di Genova chiedevano per prima cosa di liberare la zona per raccogliere le proprie cose – dice Rubini -. E’ un po’ quello che fa il mio personaggio, è un custode della memoria. Uno dei primi impulsi delle persone in quelle situazioni è riappropriarsi dei propri oggetti, dei propri ricordi, per quanto magari per gli altri possano essere insignificanti. Perché nei cocci c’è la nostra storia”. Elia “vuole rimettere a posto il cuore di una comunità, per farla riprendere a vivere”. Film come questo “in Italia non si fanno quasi più – aggiunge l’attore – non si sperimenta quasi per niente in nessun settore del Paese. E’ uno dei nostri mali”. Pippo Mezzapesa, classe 1980, già autore, fra gli altri, di ‘Pinuccio Lovero, sogno di una morte di mezza estate’ e ‘Il paese delle spose infelici’, spiega che Il bene mio è nato “dal voler raccontare un personaggio che non dimentica. Vuole cambiare il modo di pensare di una comunità secondo cui l’unico modo per rimarginare la ferita è invece rimuovere tutto il passato. Elia è un uomo che elabora il dolore restando attaccato alle pietre, che combatte per riportare lì la vita”. Con la comparsa di Noor “c’è l’incontro tra due personaggi che fuggono dalla distruzione. Lui riesce ad aprire per lei i confini del suo mondo”. La forza di Noor, dice Sonya Mellah, “sta già nel nome. Noor vuol dire luce. Insieme all’ombra che circonda Elia, è come se formassero una sola persona. Per prepararmi al ruolo, ho attinto al racconto silenzioso dei miei genitori. I migranti non raccontano molto, ma puoi cogliere la nostalgia che vedi nei loro occhi quando ascoltano musica o guardano le foto”. Diventa personaggio anche il paese fantasma dove è stato girato gran parte del film, Apice Vecchia, vicino Benevento: “Ho cercato la location ideale che mi potesse restituire Provvidenza, visitando tutti i paesi disabitati da Roma in giù perlopiù sulla dorsale appenninica. Alla fine mi è apparsa Apice. E’ inagibile, girarci era molto difficile, ma ci siamo riusciti. Quel silenzio e quegli elementi di vita passata sono difficilmente ricostruibili” spiega Mezzapesa che ora è molto emozionato per l’anteprima ad Amatrice: “All’inizio temevo un po’ l’idea, non volevo fosse vista come una sorta di sciacallaggio. Ora penso sia la scelta più giusta”. Rubini farebbe un’anteprima “anche a Genova. E’ difficile confrontarsi con il dolore di cui parliamo, ma può servire. E’ invece improduttivo e maligno tentare di rimuoverlo”.
Francesca Pierleoni, Ansa