“Ho trovato una storia universale, quella di un ragazzo che diventa uomo, si emancipa e si riscatta attraverso la cultura: è la storia di Jack London, di tanti di noi. Ho letto il libro 20 anni fa, donatomi da Maurizio Braucci, e dopo 20 anni ho deciso di sceneggiarlo: non abbiamo la cultura della marineria anglosassone, la nostra è una liberissima trasposizione a Napoli”. Parola di Pietro Marcello, che porta in Concorso a Venezia 76 Martin Eden, dal 4 settembre nelle sale italiane. Sulla scorta del romanzo di Jack London, nel film, dopo aver salvato da un pestaggio Arturo, giovane rampollo della borghesia industriale, il marinaio Martin Eden (Luca Marinelli) viene ricevuto dalla famiglia del ragazzo e ne conosce la sorella Elena (Jessica Cressy), colta e raffinata, di cui si innamora. A costo di enormi fatiche e scontando la propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e – influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden (Carlo Cecchi) – si avvicina ai circoli socialisti, entrando in conflitto con Elena.“Ci siamo appoggiati alle grosse spalle di London, un grande autore di massa, di impegno politico, che aveva anticipato l’alienazione dell’industria Usa, il conflitto tra fare cultura e migliorare il mondo, illuminando il valore delle persone, della loro emancipazione”.Rispetto al romanzo di London, ambientato in California, il regista trasporta il suo Martin Eden a Napoli, in un Novecento indefinito. Impiegando “gli archivi, il repertorio per raccontare una grande storia, il Novecento, con un montaggio contrappuntistico”, Martin Eden – dice Braucci – stigmatizza “i rischi dell’individualismo, dove il liberale è un anarchico senza solidarietà per il prossimo. London ha una grande preveggenza nel delineare i rischi dell’esaltazione dell’individuo che portano a un neoliberismo sfrenato, in cui l’individuo è un maiale che mangia tutto”.Venendo agli attori, Marinelli confessa “le lacrime dopo aver visto ‘Bella e perduta’ (il precedente film di Marcello, NdR), ‘fai che mi chiami questo regista’”, parla di “un libro che parlava di e con noi”, di “prove teatrali, lavoro sul corpo, sulla lingua, il napoletano” e descrive Martin quale “avventuriero, un ragazzo colpito dalla fascinazione cultura, attraverso cui riscattarsi: quando si arrampica sulla montagna che guardava dal basso, trova qualcosa che non immaginava, che lo delude”.Del proprio Brissenden Cecchi sottolinea il suo essere “uno stranissimo mentore, che spinge Eden verso il socialismo, lui così semianarchico, cinico e disperato”, mentre la Cressy evidenzia in “Elena un personaggio imprigionato dalla sua classe, un problema che oggi non è più tra classi ma religioni”.Chiude Braucci: “Credo nei più giovani, oggi sentiamo tutti l’oppressione dello spettacolo, del consumismo, anche loro, ma si dicono: ‘che laternativa abbiamo?’. La cultura deve ricollegare la conoscenza con l’emancipazione umana”.
Adnkronos