Sull’onda del movimento #MeToo, una scena del secondo film del franchise di «Toy Story» è stata cancellata dalle nuove versioni Blu-Ray e disponibili per il download: a ragione o a torto?
Il film è uscito diciotto anni prima l’affare Weinstein, ma ciò non è bastato a proteggerlo dalla censura. I primi ad accorgersi che era stata tagliata una scena di Toy Story 2 sono stati alcuni utenti del sito indipendente Rereleasenews.com., che hanno subito notato come la sequenza dei titoli di coda con protagonista Stinky Pete e due Barbie fosse improvvisamente sparita sia dalla versione Blu-Ray che da quella di download. Il fotogramma incriminato vede il pupazzo flirtare con due ragazze lasciando intendere che, vedendosi in disparte e facendogli visita in privato, avrebbero potuto trovare una parte in Toy Story 3. Era il 1999, ma il movimento #MeToo non si formalizza: quelle immagini mettono in scena uno dei problemi cardine dell’industria cinematografica oggi e, come tale, non poteva sopravvivere.
Da qui la decisione di tagliare la sequenza e far finta di niente, come se non fosse mai stata vista né girata. La vicenda si consuma pochi mesi dopo l’allontanamento del co-fondatore della Pixar Studios e il capo dell’animazione di Walt Disney Company John Lasseter proprio per una cattiva condotta legata al #MeToo. L’uomo, che ha diretto Toy Story 2 nel 1999, nel novembre del 2017 aveva ammesso che alcuni colleghi si sentivano «insoddisfatti o a disagio» nell’ambiente di lavoro. «In particolare, voglio scusarmi con chiunque abbia ricevuto un abbraccio indesiderato o qualsiasi altro gesto che abbia in qualche modo attraversato la linea», ha affermato.
Il franchise di Toy Story, con il quarto capitolo che scala le classifiche mondiali del box-office, porta con sé la macchia della censura, del peso di una scena considerata inappropriata. Inutile dire che tutte le versioni Dvd e Blu-Ray precedenti conserveranno il fotogramma ancora a lungo (è ancora visibile su Youtube, sempre che qualcuno non pensi di spazzarlo via anche da lì). La Disney, per il momento, sceglie di non pronunciarsi a riguardo.
Mario Manca, Vanity Fair