L’esempio è quello inglese: oltre 9 milioni di famiglie hanno almeno un abbonamento a servizi di streaming video on demand, una penetrazione del 43% sul totale delle case Uk. Amazon Prime Video, l’offerta a maggiore crescita, ha registrato un incremento del 41% da un anno all’altro ed è in 4,3 milioni di famiglie. Nel resto dell’Europa Occidentale si va un po’ più lenti per ora, con una penetrazione del 17%, ma le previsioni del nuovo rapporto 2018-2021 sul settore di ItMedia Consulting sono di una crescita media annuale nei quattro anni del 12% del video on demand, che passerà dai 6,2 miliardi agli 8,8 miliardi di euro.
L’incremento, in particolare, sarà del +15% nello streaming video on demand, la parte più importante del fenomeno, quella di Netflix e Amazon, ovvero i servizi a tariffa flat e accesso all’intero catalogo, differenti dal transactional video on demand di Chili, iTunes e altri (singoli titoli in affitto o vendita) che cresceranno ma a un tasso inferiore.
Il rapporto in uscita, la quattordicesima edizione, non fa che rafforzare quanto si è detto nei giorni scorsi dopo le previsioni di Morgan Stanley sull’argomento. ItMedia ha seguito negli anni l’andamento del fenomeno, che in Europa ha stentato a decollare. Dall’anno scorso, però, si è assistito a una affermazione indiscussa.
Ci sono, come detto, paesi che guidano: insieme con il Regno Unito, la Germania e la Francia. In Francia il 37% degli utenti dai sei anni in su ha accesso ad almeno un servizio di vod, con una crescita dell’11% anno su anno e una penetrazione del 10,3%.
Nonostante siano nati nuovi servizi, soprattutto lanciati dalle telco, Netflix e Amazon stanno ancora guidando questa trasformazione. In particolare Amazon, che ha legato il servizio Svod al suo e-commerce (con Prime si accede a tutto), ha per esempio in Germania una quota di mercato del 38,7%, contro il 34,1% di Netflix: insieme sono al 72,8% e nel terzo trimestre dello scorso anno sono aumentati del 10%.
All’Italia ItMedia dedicherà un rapporto a sé stante fra qualche mese, ma anche nel nostro paese lo scorso anno ha segnato un momento di svolta. Nel 2018 la penetrazione del vod è intorno al 10% e nel 2021 sarà quasi raddoppiata al 18%.
«Ormai il video on demand è un fenomeno di massa», spiega Augusto Preta di ItMedia Consulting. «Stiamo passando da una fase di complementarità rispetto alla pay tv tradizionale a una fase di sostituzione come è accaduto in Usa e sta accadendo nel Nord Europa e Uk. Inoltre, importante, stiamo passando anche a una fase in cui film e serie tv non sono più gli unici contenuti, ora si parla sempre più di live sport e altro. Questo avrà un impatto molto rilevante. Non è più un mercato sperimentale, vale il 25/30% della pay tv totale».
Più che la tv free, a essere stata minacciata finora è quindi la pay tv tradizionale, con i cord cutters (laddove c’è il cavo da «tagliare» questa frase è più aderente) che rinunciano all’abbonamento ai pacchetti più costosi per spendere pochi euro su uno dei nuovi servizi.
Ciò non toglie che i grandi broadcaster sono ben consapevoli di come sia necessario essere presenti in questo segmento a così alto tasso di crescita e che si arricchisce di contenuti. ProSiebenSat, per esempio (si veda ItaliaOggi del 26/6), si è alleata con Discovery e ha esteso l’invito a Rtl, Ard e Zdf a unire le forze per creare un’anti Netflix tedesca. L’appello del ministro per lo sviluppo economico Luigi Di Maio a Rai e Mediaset perché realizzino una Netflix italiana, al di là di critiche per una posizione che può essere considerata dirigistica o pro-internet a discapito della conformazione delle aziende attuali, in termini strategici è qualcosa che i broadcaster hanno ben presente. Nell’ultima assemblea di Mediaset si è parlato genericamente del disegno di un’alleanza pan-europea. Sebbene si possa basare sulla tv free, è chiaro che l’on demand dovrà avere un ruolo importante. «Oggi è un po’ tardi per risolvere il problema a livello nazionale», commenta Preta. «Stiamo parlando di alleanze che hanno quantomeno profilo europeo e infatti Mediaset e Rai stanno stringendo accordi con tv pubbliche e commerciali che coprono i paesi europei. Dopotutto stiamo anche vedendo grandi operatori fondersi per creare colossi multimediali, difficile competere con industrie soltanto nazionali».
Andrea Secchi, ItaliaOggi