Ummagumma, un biglietto di sola andata per un viaggio che dura da mezzo secolo

Ummagumma, un biglietto di sola andata per un viaggio che dura da mezzo secolo

Il racconto del disco che ha cambiato la musica dei Pink Floyd traccia per traccia

Ummagumma è un biglietto di sola andata per lo spazio. Se interstellare o interiore sta all’ascoltatore deciderlo, la cosa fondamentale è il viaggio. Un viaggio iniziato la bellezza di cinquant’anni fa, nel novembre del 1969, data di uscita di un doppio album che qualcuno definisce l’apice assoluto dell’arte floydiana. Si può essere d’accordo o meno, una cosa è certa: da quel momento molte cose sarebbero cambiate e i Pink Floyd non sarebbero stati più gli stessi.

 

L’ombra di Syd
Nel 1969 la band inglese aveva già realizzato due album in studio e due colonne sonore, una completa per il film di Barbet Schroeder More (in Italia Di Più, Ancora Di Più) e l’altra (ma solo alcuni brani entreranno nella pellicola) per il capolavoro di Antonioni Zabriskie Point. Soprattutto era ancora fresca una lacerazione (che forse mai si risolverà lungo tutta la loro storia), quella dell’allontanamento del fondatore, compositore, chitarrista, cantante e leader Syd Barrett. Reso instabile, paranoico e inaffidabile a causa dell’assuefazione a sostanze psicotrope di svariato genere, Barrett aveva dovuto essere estromesso. Al suo posto i membri fondatori Roger Waters (basso, voce), Richard Wright (tastiere, voce) e Nick Mason (batteria), avevano arruolato David Gilmour, amico di vecchia data di Syd. L’album in studio (A Saucerful Of Secrets) e le colonne sonore che seguirono l’allontanamento di Barrett (presente nella piena lucidità delle sue funzioni solo nel seminale esordio The Piper At The Gates Of Dawn, 1967) sono ottimi tentativi di non fare rimpiangere la genialità che il leader aveva instillato nella sua creatura. Ma Waters, colui che ha preso in mano la leadership del gruppo e fatto tesoro degli insegnamenti barrettiani, è ben deciso a portare avanti la macchina con sempre più consapevolezza. A questo punto ci vuole qualcosa che faccia la differenza, un colpo di coda, un’opera che faccia uscire la band dall’impasse nel quale è caduta dopo il trauma di Syd, che sia in grado di lasciarsi alle spalle la sua ingombrante ombra e si imponga a tutti i livelli presso il pubblico e la critica.

Un labirinto di possibilità
L’idea di Waters è allo stesso tempo un doveroso omaggio al periodo appena trascorso e un balzo verso il futuro. Un doppio album con un disco dal vivo e uno in studio. Il primo inteso non come pedissequa riproposizione di una manciata di classici, bensì atto a mostrare tutta la libertà e creatività di cui il gruppo è capace nel rivisitare brani che sono diventati presenza fissa nei concerti, compresa una creatura di Barrett (Astronomy Domine) oramai nelle salde mani dei rimanenti componenti. Il disco in studio si pone invece l’obbiettivo di sviscerare le capacità di ogni singolo musicista in una serie di composizioni realizzate dai quattro in maniera indipendente da ogni punto di vista. Un azzardo ma anche qualcosa che non si era mai visto prima, un gruppo è un gruppo e solitamente lavora insieme in tutto e per tutto. I Floyd dicono di no, mantengono la stabilità interna ma allo stesso tempo vogliono mostrarsi in quelle che sono le loro intuizioni personali, un viatico per rendersi conto di quelle che sono le varie anime all’interno di una formazione che rimarrà unica anche per scelte di questo tipo.

Il disco dal vivo
Le registrazioni furono assemblate in due concerti tenuti al Mothers Club di Birmingham il 27 aprile 1969 e al Manchester College of Commerce il 2 maggio dello stesso anno. Una terza registrazione del 26 aprile a Bromley fu accantonata per problemi di natura tecnica. Tele materiale viene poi implementato con alcune sovraincisioni in studio. Rispetto alla scaletta altri due brani dovevano essere contenuti nel disco: Interstellar Overdrive e l’inedita The Embryo, poi scartate per mancanza di spazio.

Astronomy domine
L’album è aperto dalla barrettiana Astronomy Domine che nella versione dal vivo guadagna in dinamicità e atmosfera psico-spaziale. Non che quest’ultima mancasse nella versione in studio (con tanto di finte voci di astronauti realizzate dal manager dell’epoca, Peter Jenner) ma in questo adattamento live si toccano vette insuperabili grazie a una maggiore consapevolezza sugli strumenti, sulle voci armonizzate di Gilmour e Wright, sulle improvvisazioni e gli effetti. Il brano è inoltre dilatato rispetto alla versione primigenia (arriverà a toccare i quindici minuti nel corso di altre esibizioni), con una parte centrale, da allungare a seconda dello stato d’animo della serata, nella quale le acque si placano e il mood si fa rarefatto e impalpabile. Band tedesche come i Tangerine Dream costruiranno intere carriere basandosi su queste ispirazioni.

Careful With That Axe, Eugene
Segue Careful With That Axe, Eugene, già lato B del singolo del 1968 Point Me At The Sky (e nuovamente registrata, e rinominata Come in Number 51, Your Time Is Up, per la colonna sonora di Zabriskie Point), che nella versione originaria era quasi del tutto mancante della magia che si ritrova in Ummagumma. Qui il brano si prende il suo tempo per decollare lentamente sulla base dell’ostinato basso di Waters. Nel frattempo Gilmour e Wright tessono una tela di richiami dallo spazio profondo e la batteria di Mason avanza tranquilla nel suo implacabile 4/4 che si fa via via più perentorio fino a esplodere nel momento in cui Waters caccia un urlo disumano che scuote l’ascoltatore fino nel profondo delle sue paure. Poi, sempre con la dovuta calma, il brano torna nel caldo bozzolo da cui era scaturito.

Set The Controls For The Heart Of The Sun
Il lato B del disco dal vivo è inaugurato da un altro classico dei Floyd più fantascientifici, Set The Controls For The Heart Of The Sun, composizione di Roger Waters basata su un libro di poesie cinesi del periodo Tang, originariamente contenuto in A Saucerful Of Secrets. Qui il clima si fa onirico e sospeso mentre Roger sussurra quasi in trance le parole del testo, mettendo da parte il basso e lasciando che Gilmour si occupi di eseguire il riff e, insieme a Wright, di mettere in scena gli arcani cori che poi, nella versione dal vivo di Pompei, saranno visualizzati da antiche maschere teatrali. A metà brano una sezione più rumoristica e improvvisata lascia spazio a ulteriori rarefazioni cosmiche che proseguono per parecchi incantati minuti sotto il dominio dagli echi delle tastiere di Richard Wright. Poi il canto riprende, fino al termine.

A Saucerful Of Secrets
La sezione dal vivo di Ummagamma si conclude con una possente riproposizione della suite A Saucerful Of Secrets, qui divisa in quattro sezioni denominate Something Else (0:00-03:57), Syncopated Pandemonium (3:57-07:04), Storm Signal (7:04-08:38) e Celestial Voices (8:38-11:52). A Saucerful Of Secrets è forse il pezzo cardine di questi primi Pink Floyd, il brano nel quale trovano spazio tutte le caratteristiche della psichedelia che è stata e del rock più sinfonico che verrà con Atom Heart Mother, l’anno successivo. Il brano prende forma da un impianto ancora una volta sospeso e rarefatto fino ad assumere sempre maggiore consistenza ed esplodere durante la sezione caratterizzata da continue rullate di Mason, quando Waters comincia a percuotere con violenza il gong (lo si può vedere in azione in Pompei) fino a livelli parossistici. Il tutto poi si placa e prepara il terreno per il gran finale di Celestial Voices, dove la sezione ritmica sulle prime rilassata diventa sempre più potente, con l’organo ecclesiastico di Wright che costruisce il terreno per il canto senza parole di Gilmour, in un momento di grande emozione. Da notare che la versione contenuta in Ummagumma è il risultato di una fusione tra la registrazione di Birmingham (la parte iniziale) e quella di Manchester (da dopo il pattern di batteria).

Il disco in studio
La sfida più audace: quattro sezioni dedicate ai singoli componenti, soli in studio di registrazione a suonare ogni strumento e a dar fondo a tutta la creatività, senza alcun paletto se non quello del tempo concesso a ognuno, una decina di minuti, chi più chi meno.

Richard Wright
Tocca a Richard Wright inaugurare il suo laboratorio sonoro con una visione musicale del mito di Sisifo. Il musicista si occupa non solo di fornire un ampio spettro di tastiere quali organo, Mellotron e piano ma si misura anche con basso, timpani e percussioni assortite.Il tema principale del brano, diviso in quattro sezioni, esordisce da subito in tutto il suo vigore, con il Mellotron e i timpani a dipingere atmosfere epiche e marziali. La seconda sezione è una sonata per pianoforte dapprima quieta e bucolica e poi sempre più tesa e dissonante, con le dita di Wright che percuotono i tasti con furore. Il clima sperimentale si fa ancora più intenso nella terza sezione dove il piano viene letteralmente straziato con foga in ogni sua parte, compresa la cordiera, sulla scia del lavoro di compositori contemporanei come Edgar Varèse o John Cage. L’ambiente si rifà misterioso e sospeso nella quarta e ultima sezione; il Mellotron è circondato da cinguettii di uccelli, rintocchi di piano e larghe note di organo, questo fino al momento in cui un brutale accordo dissonante affonda di nuovo l’atmosfera nel buio più profondo, con gli strumenti che sempre più crescono di caotica intensità fino a sfociare nella solenne e liberatoria ripresa del tema iniziale.

Roger Waters
A tanta tensione risponde il bassista che propone, per contrapposizione, una incantevole composizione acustica ispirata dai prati di Grantchester, nei dintorni di Cambridge. Tornano i cinguettii a incorniciare la chitarra classica e la voce quasi sussurrata di Waters in un testo onirico e descrittivo. Grantchester Meadows è però un brano solo apparentemente tranquillo e rilassato, in realtà spinge l’ascoltatore verso un dormiveglia allucinogeno sottolineato dagli effetti sonori e movimenti sui due canali, utilizzati per creare l’illusione di spazio e profondità. Durante l’ascolto con le cuffie si può avvertire il cinguettio degli uccelli che si muove attraverso i due canali e il ronzio di una mosca seguita dai passi di qualcuno che arriva dal canale sinistro e poi si sposta lentamente nel canale destro, con tanto di rumore di una mano che schiaccia la mosca.Mentre la canzone termina gli effetti non cessano di creare inquietudine diventando via via sempre più presenti. Il successivo brano di Waters, con il lunghissimo e surreale titolo di Several Species Of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict (Diverse Specie Di Piccoli Animali Pelosi Ammucchiati In Una Caverna Che Se La Spassano Con Un Pitto), è un vero carnevale di effetti sonori che bombardano l’ascoltatore. Un collage con differenti versi ottenuti manipolando la velocità del nastro, la voce di Waters, battiti di mani e colpi sul microfono a evocare un gruppo di animali racchiusi nella caverna espressa nel titolo. A metà entra in scena la voce declamatoria di Waters che, con un fortissimo accento scozzese, narra un’allucinata vicenda di violenza familiare. L’accento scozzese si riferisce al Pitto del titolo: i Pitti erano infatti un’antica popolazione di origine pre-celtica che popolò parte della Scozia fra il III e il X secolo.A circa 4:34, rallentando la velocità del pezzo è possibile distinguere le parole di Waters che esclama: That was pretty avant-garde, wasn’t it? (È stato abbastanza avanguardia, o no?).

David Gilmour
A inizio del lato D del doppio vinile il chitarrista (qui impegnato anche con basso, tastiere e batteria) si misura con un brano diviso in tre sezioni, di cui la prima è costruita su una ridda di arpeggi di chitarra acustica e di effetti. Questa parte prende forma da un frammento che il gruppo aveva già da qualche tempo nel repertorio concertistico. Lentamente esce allo scoperto la chitarra distorta che con una serie di accordi in crescendo conduce direttamente alla seconda sezione, caratterizzata da un riff ipnotico e fortemente psichedelico. La terza sezione vede l’ingresso della soave voce del chitarrista in una ballad tipicamente floydiana, progenitrice della futura Fat Old Sun. Si racconta che il buon David si trovasse in difficoltà con il testo del brano e ciò lo portò a chiedere aiuto a Waters, il quale gli ripose con il suo classico cinismo di arrangiarsi. Del resto se di esperimenti solisti doveva trattarsi sarebbe stato necessario mettere in gioco se stessi in tutto e per tutto, superando i propri limiti a ogni costo.

Nick Mason
Del tutto inaspettatamente il tranquillo batterista prende il coraggio tra le mani e offre la parte più vicina a certa musica contemporanea del lotto. The Grand Vizier’s Garden Party evoca nuovamente Edgar Varèse con uno studio assai dettagliato sulle diverse capacità espressive di una serie di percussioni, solo ogni tanto (a inizio e fine) punteggiate dal flauto traverso della futura moglie del batterista, Lindy. Le tre sezioni (Entrance/Entertainment/Exit) non eccedono mai in vigore ma riescono a evocare un clima ancora una volta in bilico tra reale e irreale unicamente con l’ausilio dello sfioramento di pelli e metalli. A ciò si aggiungono alcuni loop di nastro con svariati altri rumori, arte che Mason affinerà fino a giungere alla piena maturità nell’introduzione di The Dark Side Of The Moon (Speak To Me).

Il titolo
Ummagumma è un’espressione in slang che indica l’atto sessuale. Questa la spiegazione ufficiale. Ma ce n’è anche un’altra, cosa non strana quando si tratta dell’affascinante universo floydiano. Nel libro Lo scrigno dei segreti, l’odissea dei Pink Floyd Nicholas Shaffner asserisce infatti che Ummagumma era anche il verso tipico di misteriose creature che, secondo una leggenda, abitavano una palude vicino Cambridge. Alfredo Marziano e Mark Worden, autori del volume Floydspotting, guida alla geografia dei Pink Floyd, confermano che Ummagumma e un’espressione gergale di Cambridge per indicare l’atto sessuale. Tale espressione sarebbe stata inventata da Ian “Imo” Moore, un amico di Syd Barrett, anche se i Pink Floyd non avrebbero mai confermato ufficialmente la cosa.

Front cover
I fan più accesi non hanno che da perdersi ad ammirare a bocca aperta l’incredibile lavoro artistico della copertina dell’album, realizzata dallo studio Hipgnosis, nella fattispecie da Storm Thorgerson e da Aubrey Powell. La foto di copertina ritrae David Gilmour a piedi nudi (la cui presenza in primo piano fu dettata dalla sua avvenenza fisica) all’ingresso di una stanza, con un’anfora di vetro, la copertina dell’album del musical Gigi di Vincente Minnelli e la scritta Pink Floyd con lettere disegnate e ritagliate. Sempre più distanti da Gilmour, in quello che sembra un ampio giardino, ci sono poi Roger Waters seduto per terra, Nick Mason che guarda il cielo e Richard Wright a gambe per aria. La foto fu scattata da Thorgerson e Powell presso la Trinity House, una villa nei dintorni di Cambridge, con una macchina Hasselblad, usando un grandangolo e una pellicola negativa a colori. Nel muro dove Gilmour poggia la schiena è appeso uno specchio che riporta le immagini dei quattro componenti dei Floyd in diverso ordine, in primo piano Waters e poi gli altri. L’effetto di profondità continua in un gioco di immagini che sembra proiettato, sempre più in piccolo, verso l’infinito. Ciò per invitare l’ascoltatore a perdersi ad approfondire sempre più la musica, non lasciare che l’ascolto rimanga unicamente superficiale. In realtà, a un’attenta osservazione con tanto di lente di ingrandimento, ci si rende conto che le immagini di gruppo non continuano all’infinito ma che a un certo punto, molto lontana, campeggia la cover di A Saucerful Of Secrets.

Back cover
La foto nel retro di copertina è una invece uno scatto di tutto il materiale usato dal gruppo nelle rappresentazioni live (gli strumenti musicali, un camioncino, effetti, luci) schierati sulla pista dell’aeroporto di Biggin Hill, nel Kent, come a rappresentare un caccia bombardiere. Tra la strumentazione si riconoscono le chitarre Telecaster e Stratocaster di Gilmour, la batteria Premier a doppia cassa di Mason, i bassi Fender e Rickenbacker di Waters, l’organo Farfisa di Wright, le unità eco Binson, gli amplificatori Hiwatt. In mezzo a questo florilegio di strumenti si stagliano le figure dell’ingegnere del suono Peter Watts (padre della nota attrice Naomi) e del roadie Allan Styles (al quale i Floyd dedicheranno Alan’s Psychedelic Breakfast). Nella sua biografia Nick Mason racconta che l’idea gli era venuta dopo aver visto una fotografia che ritraeva un bombardiere Phantom con tutti gli armamenti in bella mostra disposti a raggiera intorno all’aereo. Nelle copertine delle edizioni di Ummagumma pubblicate negli Stati Uniti, Canada e Australia la copertina dell’album della colonna sonora del musical Gigi venne in diversi modi cancellata a causa delle rimostranze di Vincente Minnelli che non gradiva che il suo nome fosse associato a quello della band inglese.

Inner cover
Le foto all’interno apribile mostrano degli scatti raffiguranti i quattro membri del gruppo separatamente, in bianco e nero. Da sinistra David Gilmour, fotografato davanti all’Elfin Oak, un tronco d’albero di oltre 900 anni presente nei giardini di Kensington, scavato e contornato da statuette di elfi e gnomi. A seguire Roger Waters, raffigurato in compagnia della sua prima moglie, Judi Trim (l’immagine della donna verrà cancellata nelle riedizioni in cd salvo poi riapparire nella versione in mini-vinile contenuta nel cofanetto Oh By The Way) e Richard Wright a fianco della tastiera del pianoforte. A Nick Mason non è riservata un’unica immagine come i compagni ma una sequenza di piccoli scatti come a raffigurare il ritmo della musica della band. La disposizione delle foto riprende quella sul palco della band, con bassista, chitarrista e tastierista in primo piano e batterista nelle retrovie.

Uno scrigno di creatività
Che dire dopo avere analizzato un album pieno zeppo di particolari stimolanti e creativi come questo? Forse solo che è un grave peccato che questo modo di essere creativi si sia perso e che tutto oggi debba essere mostrato senza più mistero, senza che più nessuno si prenda la briga di andare a fondo, studiare e scoprire ciò che sembra celato. C’è solo da augurarsi che l’insegnamento floydiano non vada perduto e che possa ancora tornare un’era dove non ci si accontenta più della facciata ma ci si immerga in un ascolto stupito e attento, mettendo nelle orecchie una lente di ingrandimento per scoprire cosa c’è oltre l’infinito.

5 Top album floydiani (in ordine di uscita)
The Piper At The Gates Of Dawn
Ummagumma
Il primo lato di Atom Heart Mother e il secondo lato di Meddle
The Dark Side Of The Moon
The Wall

5 libri floydiani
The Lunatics: Pink Floyd. Storia e segreti
The Lunatics: Pink Floyd. Il fiume infinito. Le storie dietro le canzoni
The Lunatics: Pink Floyd a Pompei. Una storia fuori dal tempo
Nick Mason: Inside out. La prima autobiografia dei Pink Floyd
Nicholas Schaffner: Lo scrigno dei segreti. L’odissea dei Pink Floyd

5 Album filo-floydiani
Agitation Free: Malesch
Tangerine Dream: Electronic Meditation
Eloy: Silent Cries And Mighty Echoes
Porcupine Tree: The Sky Moves Sideways
The Alan Parsons Project: I Robot

Fabio Zuffanti, lastampa.it

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