Arriva con i crismi dell’attualità, sull’onda della polemica – rimbalzata da Cannes – se i titoli prodotti dalle piattaforme digitali siano cinema o tv. Che è un po’ come chiedersi se una pizza, mangiata a casa, è ancora una pizza oppure no. Disponibile su Netflix da sabato scorso, senza uscita in sala, War Machine è un film a tutti gli effetti: con star del grande schermo, un regista di opere di culto (Animal Kingdom), un direttore della fotografia come Dariusz Wolski. Tratto dal bestseller The Operators, è una satira del militarismo che ricorda MASH e Comma 22, ma aggiornati al conflitto in Afghanistan. Nei giorni in cui l’amministrazione Obama cerca di sganciarsene, il comando delle forze americane è assunto dal generale “Big Glen” McMahon, che non ha capito niente ed è certo di vincere la guerra. Brad Pitt, a tratti esagerando, lo interpreta come un macho dalla mascella quadrata in tuta mimetica, tragicomico e sempre sull’orlo del ridicolo. Il senso del film, che è ricco di momenti buoni ma stenta un po’ ad arrivare alla fine, si annida soprattutto in due scene: il discorso della giornalista Tilda Swinton e, ancor più, quello dei contadini afghani. Ne esce chiara l’immagine di un conflitto giocato più sui media (la copertina di Rolling Stone, con Lady Gaga armata di mitra) che sul terreno, ma non per questo meno sanguinoso e assurdo.
Roberto Nepoti, la Repubblica