La notte tra il 2 e il 3 maggio di 30 anni se ne andava diva di origini italiane, dopo una vita segnata dal successo e da un inguaribile “mal de vivre”
Più che la vita di una cantante di successo, quella di Dalida sembra la sceneggiatura di un dramma, nonostante i tanti trionfi, gli amori intensi e l’affetto continuo dei fan. Un’esistenza vissuta come “insopportabile”, come scrisse lei stessa in un biglietto prima di togliersi la vita, il 3 maggio del 1987.
Abituata ai riflettori fin da giovanissima, sin da quando venne eletta Miss Egitto, Yolanda Gigliotti, in arte Dalida, era nata e cresciuta al Cairo con la famiglia di origine italiana, emigrata come tante altre in cerca di fortuna nei primi anni ’30. E fu proprio la sua prorompente bellezza il primo traino verso il successo, a partire da quel concorso vinto ad appena diciassette anni, che le aprì le porte del cinema egiziano, allora considerato la Hollywood del Medio Oriente, e che poco più tardi la fece approdare in Europa. Con il nome d’arte Dalila – poi mutato in Dalida, su consiglio dello scrittore Albert Machard – scelse la scena parigina per affermarsi come cantante e non ci volle molto perché i francesi la notassero, anche grazie all’incontro con l’allora direttore artistico di Europe1 Lucien Morisse, che poco dopo sarebbe diventato suo marito.
L’anno d’oro fu il 1957, quando Dalida iniziò a farsi conoscere dal grande pubblico con il suo primo album Son nom est Dalida e si impose come star con la canzone Bambino, conquistando il disco d’oro e guadagnandosi il palco dell’Olympia, dove aprì lo spettacolo di un certo Charles Aznavour. Mentre la vita sentimentale mostrava le sue prime crepe e il matrimonio con Morisse veniva messo in crisi dal colpo di fulmine tra Dalida e il pittore Jean Sobieski, la sua ascesa professionale sembrava inarrestabile, tra esibizioni nel tempio della musica francese, tournée in giro per il mondo e hit capaci di scalzare dalle vette delle classifiche giganti come Edith Piaf e Jacques Brel.
Se la Francia ne fece un’icona nazionale, l’Italia non fu da meno e le riservò un’accoglienza da diva nel mondo nostrano della canzone, del cinema e della tv, mentre lei con la sua voce diffondeva oltralpe i successi italiani di Modugno, Mina, Paoli e tanti altri. Alla gloria internazionale degli anni ’60 fece da contraltare una vita sentimentale movimentata, segnata dalle relazioni con l’attore Alain Delon, il giornalista Christian de la Mazière e soprattutto con il cantautore Luigi Tenco, conosciuto in occasione del Festival di Sanremo del 1966. La loro unione – sempre smentita dalla madre di lui – fu al centro dei riflettori fino al triste epilogo dell’anno successivo, proprio durante la kermesse canora, con il suicidio del cantautore dopo l’esclusione del brano Ciao amore ciao dalla finale.
Per Dalida, la prima a scoprire il corpo di Tenco senza vita, quel 27 gennaio del 1967 rappresentò uno spartiacque tra l’età della spensieratezza e della maturità, segnata da un inguaribile mal di vivere. Dalida riuscì a rialzarsi e a ritrovare il successo con tournée in tutto il mondo, svariati dischi d’oro e di platino e la cifra record di 85 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, ma non ritrovò più la serenità, complici altre tragedie, che le portarono via prima l’ex marito e amico Lucien Morisse, poi il compagno Richard Chanfray, segnandone per sempre l’equilibrio psicologico. Altri trionfi, la ricchezza raggiunta e l’affetto del pubblico non bastarono a ripagarla di tante perdite, e il 3 maggio del 1987, al suo terzo tentativo di suicidio, Dalida riuscì a liberarsi di una vita ormai “insopportabile”.
IO DONNA