Giuseppe Leone, il fotografo amato da Sciascia e Sellerio

Giuseppe Leone, il fotografo amato da Sciascia e Sellerio

“Caro Andreose, mi permetta di segnalarle un fotografo con bottega a Ragusa che sembra scivolato da una pagina di Brancati”. Giuseppe Leone è il nome del fotografo citato. La bizzarra lettera di patronage reca la firma di Leonardo Sciascia. Destinatario della missiva, Mario Andreose, direttore editoriale della Bompiani. Milano, era il 1986.Seguirono una serie di elegantissimi libri fotografici di grande successo. Giuseppe Leone, 85 anni, custodisce nel suo archivio più di cinquecentomila scatti, sessanta i libri fotografici con testi firmati dai grandi autori della letteratura del Novecento.

Trovarlo è semplicissimo. Chiedi informazioni nel centro storico di Ragusa e tutti rispondono con un’esclamazione: «Ah, Peppino», e indicano il suo studio-galleria che troneggia sulla salita di Corso Vittorio Veneto a pochi metri della cattedrale di San Giovanni Battista, la chiesa dove per quasi sessanta anni fu maestro d’organo il padre. Voleva fare il pittore ma si ritrovò a fare il ragazzo di bottega nello studio del fotografo Antoci. Giusto il tempo di apprendere l’arte della foto di studio e di comprare una prima macchina fotografica a soffietto, una Voigtlander Bessa 6×9.

La stessa macchina che gli consentì, appena sedicenne, di immortalare uno dei suoi più celebri scatti: un treno che attraversa ansimante il ponte della vallata San Leonardo e Ragusa Ibla sullo sfondo. Nel corso di quasi settanta anni di attività ha percorso in lungo e largo la Sicilia. Non c’è villaggio dell’entroterra o paesino della costa che non abbia fotografato, prima che uno dei due sparisse, definitivamente, per dirla con le parole del suo grande amico, lo scrittore Vincenzo Consolo. Scattando, senza sosta, ha messo in salvo, condotto a riva i relitti di un naufragio culturale. Immagini che testimoniano una trasformazione sociale epocale, la fine della civiltà contadina.

Alberga ormai solo in questo mezzo milione di fotogrammi la Sicilia della grande emigrazione. Seguendo il monito inascoltato di Pier Paolo Pasolini, Leone ha continuato a fermare questi attimi. Mentre l’Italia si omologava inesorabilmente, ha registrato l’abbandono delle campagne, lo spopolamento dei centri storici, lo stravolgimento del paesaggio, la distruzione del patrimonio archeologico, la sistematica spoliazione delle chiese, la speculazione edilizia, il deturpamento delle coste, l’imbarbarimento dei costumi. Un casellario fotografico che vale un intero museo antropologico.

Nei suoi classificatori albergano le sequenze delle feste patronali, quelle delle confraternite dolenti degli incappucciati spagnoleggianti. Ha fissato paesaggi struggenti agguattato su inarrivabili affranti. Il mare vagheggiato immortalato guadagnando promontori sospesi. Svelato il fasto d’antan varcando la soglia di palazzi nobiliari. Mostrato le ritualità dei contadini scapicollando per colline ineffabili. Rianimato l’atmosfera sospesa delle botteghe artigianali. Catturato scorci sconosciuti agguattato nei conventi e nelle chiese. I suoi scatti sono stati pubblicati sulle copertine delle riviste più prestigiose. Ha ritratto i grandi intellettuali e gli artisti più affermati. Fotografie che continuano a disvelare la Sicilia bramata dai viaggiatori del Grand Tour. Vengono a intervistarlo le troupe delle BBC, giungono collezionisti da tutto il mondo, grandi couturier come Dolce & Gabbana utilizzano le sue foto per le loro campagne pubblicitarie mondiali.

La sua carriera muove dall’incontro di due straordinari artisti, Leonardo Sciascia ed Enzo Sellerio. Fu una strana coincidenza. Una di quelle stranezze misteriose che Sciascia amava tanto. Il loro primo incontro ebbe come scenario la sede palermitana della casa editrice Sellerio. Leone aveva chiuso l’impaginazione del suo primo libro “La pietra vissuta”. Enzo Sellerio, maestro di tutti i maestri della fotografia siciliana, gli chiese di seguirlo, voleva presentargli una persona. Il fotografo di Ragusa si trovò al cospetto di Leonardo Sciascia, seduto su un divano mentre fumava l’eterna sigaretta.

A colpirlo fu l’immediata domanda del maestro di Regalpetra che gli chiese se conoscesse la prefettura di Ragusa. Leone, intimorito, rispose ingenuamente di sì. Sciascia rincalzò, divertito, spiegando che il riferimento era alle tempere realizzate da Duilio Cambellotti. Pitture che adornavano il palazzo della prefettura. Lo scrittore aveva già in mente un lavoro dedicato a una pagina rimossa della storia italiana.

Paradossalmente quella sua prima domanda, dopo qualche anno, si trasformò nel loro ultimo libro: “Invenzione di una prefettura”, edito da Bompiani. Il libro fu pubblicato proprio dal direttore editoriale Mario Andreose, dopo la bizzarra lettera di presentazione sciasciana. Dopo il primo incontro palermitano, i due entrarono subito in sintonia.


Sciascia si recò a Ragusa, più volte. Batterono la Sicilia in lungo e largo per mostre, convegni, feste di piazza. Ma in tanti anni di amicizia, il fotografo non osò mai dare del tu all’autore del “Giorno della civetta”. Sciascia è stato una persona determinante, per la carriera di Leone. Le sue parole, le sue indicazioni, gli hanno aperto orizzonti inesplorati, conferendo metodo al suo lavoro di fotografo.

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