Sanremo, Red Canzian racconta il brano in gara e la sua vita nei Pooh

Sanremo, Red Canzian racconta il brano in gara e la sua vita nei Pooh

Per 44 anni nel gruppo, ora nuovo album e tour: “Racconterò la musica che mi ha attraversato la vita”

«Noi Pooh siamo stati persone perbene – dice Red Canzian – andremmo studiati a scuola per come ci siamo gestiti e abbiamo saputo chiudere la nostra storia. Ma ora per me è il tempo della gioia: voglio essere felice, godermi questo momento». Dopo 44 anni nei Pooh, Red diventa solista a Sanremo con una canzone (Ognuno ha il suo racconto) che annuncia l’album e il tour Testimone del tempo .

Perché questo Sanremo?  

«Porto il primo pezzo che ho registrato per il nuovo disco, un concept album che ha come tema il passare del tempo raccontato con le musiche che hanno attraversato la mia vita. Lo porto a Sanremo perché non c’entra niente con il Festival».

Ha fatto un concept album?  

«Ho pensato a ciò che mi ha fatto scegliere di fare questo mestiere. E prima che l’album ho “scritto” un concerto con dentro la musica della mia vita, dai Beatles al rock progressivo, alla grande canzone d’autore».

Quindi nel concerto non canta solo canzoni sue?  

«Sarà la narrazione della grande musica dagli Anni 50 a oggi, con canzoni di altri più alcune mie e dei Pooh. Per raccontare a chi non c’era la meraviglia che abbiamo vissuto e per farla rivivere a chi c’era».

Una lezione di storia del pop?  

«Non solo. Anche un sogno. Come nella vita: non conta quello che è successo veramente, ma ciò che ricordiamo, che riusciamo a raccontare».

Si prende qualche soddisfazione ora che non è più «uno dei Pooh»?  

«Ognuno nei Pooh aveva il suo ruolo, qualcuno lo notavi meno perché faceva un lavoro meno pubblico: noti più chi canta una canzone rispetto a chi progetta il palco per una tournée. Ora la sfida è dimostrare che sono un cantante e un musicista completo. I fan dei Pooh lo sanno, gli altri meno».

Siete gli unici ad aver gestito la fine del gruppo in maniera…  

«Intelligente, direi. Devi avere rispetto per quello che hai fatto. Io da solo – se Dio m’aiuta – posso andare avanti fino a 90 anni e cantare davanti a 300 persone. Non sarebbe un insuccesso, ma una scelta. I Pooh no».

Chi ha deciso di sciogliersi?  

«Nel 2009 Stefano (D’Orazio, batterista, ndr) ha lasciato i Pooh: abbiamo trovato Phil, mio figlio, che ha fatto 220 concerti con noi, straordinario. Ma quelli non erano i Pooh, erano i Pooh senza uno dei Pooh. Poi nel 2013 è morto Valerio Negrini, l’autore dei testi. La sua perdita ci ha devastato. Abbiamo proposto a Stefano a tornare per un ultimo tour, lui non si fidava, pensava a un bluff. L’abbiamo convinto».

A Sanremo ci saranno tre Pooh: oltre a lei, Roby Facchinetti con Riccardo Fogli, nel gruppo fino a quando lo sostituì lei nel 1973.  

«Sembra strano, ma per me è tutto semplice, vado lì felice di presentare un pezzo particolare che è l’apripista del mio album, un album importante, con autori importanti. Voglio arrivarci in forma e voglio divertirmi».

Qual è stata l’esperienza musicale che le ha cambiato la vita?  

«Da bambino Tuttifrutti di Little Richard, Peppino Di Capri con Roberta, poi i Beatles… Tre anni fa ho incontrato Paul McCartney a Verona in un concerto contro la violenza sugli animali negli allevamenti intensivi. Incredibile. Ho pensato che il primo festival della mia vita l’ho vinto cantando Yesterday».

Lei viene da una famiglia umile.  

«Sono nato a Quinto di Treviso in una villa nobiliare che ospitava le famiglie più povere del paese. Mio padre amava l’opera e cantava in un coro. La mia prima passione è stata il disegno. Poi verso i 12 anni ho cominciato con la musica, da autodidatta. Quando ho imparato qualcosa ho fondato i Capsicum Red: siamo entrati in classifica con il primo 45 giri, ci fermò il servizio militare. Io lo evitai perché a mio padre era stato asportato un rene, rimasi a casa senza sapere che fare. Provai con il cinema, feci un provino per il ragazzino di Morte a Venezia: c’era anche Ron, davanti a Visconti parlammo di musica, infatti non ci prese».

Voleva entrare nel mondo dello spettacolo?  

«Credo di avere la sindrome del clown, ho bisogno di avere qualcuno che mi guarda mentre faccio il mona. Mi piace da sempre stare sul palco, e dopo quello che mi è successo il 25 febbraio 2015…».

Aneurisma dell’aorta. Ha avuto paura di morire?  

«Non ho avuto paura perché sono un incosciente, quando stavo per entrare in sala operatoria mi chiesero: se dobbiamo cambiare la valvola preferisci la valvola organica o di plastica? Quella di plastica fa rumore, quella organica è fatta di orecchio di maiale. Risposi: ma sono vegano! Stavo morendo e mi sono messo a fare lo spiritoso. E dopo 51 giorni sono tornato in concerto: in prima fila solo medici, pronti a intervenire».

Si sente cambiato ora?  

«Sì, apprezzo tutto, mi piace tutto, mi gusto tutto, mi piace raccontare. Anche per questo la chiusura dei Pooh l’ho vista come una benedizione. Un privilegio riuscire a portarla a termine».

Sono felici anche gli altri?  

«Tutti. Mi creda, dovremmo essere studiati a scuola: ognuno di noi ha aiutato gli altri a essere persone migliori».

Pensare che quando l’hanno presa lei neanche suonava il basso. Come li ha convinti?  

«Non ero nulla di quello che volevano ma ero un’entità precisa, un musicista rock con i capelli fino a metà schiena che suonava la chitarra. Ero figo. La storia ufficiale dice che mi presero dopo un provino a Roncobilaccio in un hotel. In realtà ero stato prima a Bergamo a casa di Facchinetti: lì capirono che ero affidabile, perbene come loro, figlio di operai, che non avevo velleità inutili, che non mi drogavo».

Qual è il segreto?  

«Devi trasmettere quello che hai dentro, e dunque devi averlo, poi devi convincere chi ti vede che sei l’uomo al posto giusto. Quanta gente fuori posto ho visto, anche su palchi importanti. Nel giorno in cui morì mio padre dovetti venire a Milano a fare interviste e a presentare la Grande festa dei Pooh. La mattina dopo partii per Treviso per il funerale. Quando fai questo mestiere devi accettare di non vedere nascere i tuoi figli perché sei a Catanzaro a suonare».

Adesso questa parte di vita l’ha recuperata?  

«Oh sì, adesso i miei figli li almeno una volta ogni dieci giorni. Con gli amici vado in bici, a bere il vino nelle bettole. Farei fatica ora a non vedere mio nipote perché “ho la riunione dei Pooh”: ma sono stato ligio alle regole per 44 anni».

Piero Negri, La Stampa

Torna in alto