SUGLI SCHERMI GLOBALI VA IN ONDA LA CARICA DELLE «ALTRE» NETFLIX

SUGLI SCHERMI GLOBALI VA IN ONDA LA CARICA DELLE «ALTRE» NETFLIX

Dalla Cina agli Emirati i concorrenti puntano su contenuti per il pubblico locale, partnership con i provider e costi ridotti. Hastings, ceo della società di Los Gatos, è ancora debole in Asia e Africa. ma nel futuro punta al 80% di accesso extra Usa

di Francesca Gambarini e Maria Elena Zanini, il Corriere della Sera

netflixPiccole Netflix crescono. Alcune prosperano, altre soffrono. Ma con una buona approssimazione si può dire che il «virus streaming» abbia colpito quasi tutto il mondo. Non è merito (solo) di Reed Hastings, papà di Netflix, ma che la sua creatura abbia dato una grande accelerata al settore è innegabile. Non in tutti i Paesi, ovviamente, i competitor riescono a stare al passo. In molti anzi, ci sono forti limiti per lo sviluppo del business, soprattutto a livello di infrastrutture. Uno dei motivi questo, che ha spinto Netflix a crearne di adeguate in Brasile — Paese piuttosto arretrato da questo punto di vista in confronto al Nordamerica —, per poi poter conquistare il mercato carioca. La società aveva dichiarato l’obiettivo già nel 2011, con l’intenzione di occupare stabilmente gli schermi di 43 paesi tra America Latina e Caraibi. Nonostante la corposa presenza di Netflix in America del Nord, anche qui altri piccoli e grandi competitor si sono ritagliati una nicchia. Il concorrente più agguerrito è senza dubbio Jeff Bezos, che con Amazon Prime Video sta rosicchiando quote importanti di mercato. Ma Netflix deve vedersela anche con Vimeo, sito nato nel 2004 su cui gli utenti possono caricare e condividere video e che lo scorso maggio ha acquisito Vhx, una piattaforma che permette a registi e artisti di mettere online il proprio lavoro, monetizzandolo con abbonamenti. Oltre a Vimeo, anche Hulu, presente negli Usa e in Giappone con 10 milioni di utenti, è un nome cui Hastings deve prestare attenzione. Nato nel 2007 con Msn, Aol, Myspace e Yahoo come partner distributivi, è un servizio di streaming on demand che offre film e spettacoli televisivi di numerosi network via cavo, anche in diretta. E quest’anno si dovrebbe aggiungere anche YouTube con il servizio di streaming Unplugged. Tra le «chicche» del mercato c’è FilmStruck, la «Netflix per nerds» lanciata lo scorso autunno da Time Warner, che offre nella sua libreria un mix tra grandi classici del cinema, film indipendenti e cult.
Chi corre, chi frena
Hastings ha lasciato però anche vittime sul proprio percorso. Soprattutto in Europa, dove Vivendi ha dovuto chiudere a dicembre Whatchever, piattaforma di streaming presente per lo più sul mercato tedesco. Così come LoveFilm, acquisita nel 2011 da Amazon, principale riferimento per i video ondemand in Scandinavia, Irlanda e Regno Unito. Chi invece sta mantenendo la posizione è la spagnola Wuaki.tv, arrivata nel 2016 anche in Italia. È un sito di acquisto e noleggio online di pellicole cinematografiche e serie tv del colosso nipponico Rakuten.
Off limits
Allargando lo sguardo al mappamondo, quattro sono gli Stati oggi off limits per Hastings: Corea del Nord, Cina, Iraq e Siria. Nel paese del Dragone, però, esistono già le alternative. Pioniere del business è l’ambizioso gruppo LeEco, che ha iniziato come portale video «locale». Conta seimila film, mentre le produzioni originali toccheranno il 70% delle uscite del 2017. LeEco ha comprato la casa di produzione di tv Vizio: un mix tra online e offline che richiama le linee di sviluppo di altri big come il connazionale Alibaba. Che pure ha una piattaforma di video on demand, Tmall Box Office (Tbo): sei dollari al mese per contenuti in parte realizzati dagli studios Alibaba Pictures Group. Jack Ma possiede anche una quota di Youku Tudou, lo You Tube cinese, che ha 30 milioni di iscritti paganti, tallonato da altri servizi come Tencent e iQiya, che ne hanno 20. In questi tre casi i contenuti premium si fermano al 10% del totale.
Vicino e lontano Oriente
Nell’altro mercato di punta, l’India, la parte del leone la fa Hotstar, figlia del network Star, che propone contenuti in otto lingue, dal tamil all’hindi, nessuno di produzione propria, per 200 rupie al mese cioè 2,70 euro (Netflix parte da 500). Si possono vedere Games of Thrones ma anche il cricket o il kabbadi, tipico sport di contatto indiano. Gli altri competitor offrono per lo più produzioni di Bollywood. Come Eros Now, di proprietà della Eros International, società di distribuzione di film di Mumbai. Ha 49,6 milioni di utenti, un milione già paganti per l’equivalente di 5,99 euro al mese: secondo l’azienda dovrebbero (almeno) duplicare entro la fine dell’anno fiscale 2017.
Eros Now si vede anche nel Golfo Persico, dove nel 2013 era stata lanciata Icflix, amata soprattutto per le produzioni locali. Offre contenuti gratis o un abbonamento da 7,99 dollari. Nell’area araba è popolare anche l’egiziana Diwan, la prima a toccare i 2 milioni di utenti. Sono egiziani anche i fondatori di MoviePigs, startup finanziata da Dave McClure del fondo 500 Startups. Oltre allo streaming permette ai registi arabi di raccogliere fondi attraverso crowdfunding. L’abbonamento mensile costa 6,99 dollari. Netflix è invece presente in Iran, dove l’ex studente Mohammad Javad Shakoori, ha fondato prima Aparat, lo YouTube iraniano, valutato 30 milioni di dollari dall’Economist, e poi Filimo, piattaforma svod che costa 4 dollari al mese. La sfida è aperta anche in Africa, dove il concorrente più agguerrito è ShowMax, lo streaming di Nasper, società di Città del Capo: è disponibile in 36 paesi, costa 99 rand (circa 7 euro) e ha un’offerta studiata ad hoc per il pubblico locale, tra fiction, reality show e film di Nollywood. Un successo da oltre 10 milioni di accessi, dovuto anche alla possibilità di scaricare e vedere poi offline.

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