Il presidente: meglio fare 5 milioni di ascoltatori con un’emittente che 1 milione con 5
Volanti: Mediaset nell’Fm? Sono forti ma poi vediamo i risultati
Di fare un’altra radio il presidente Mario Volanti non ha alcuna intenzione. Magari una radio più giovane, da affiancare alla sua Radio Italia solomusicaitaliana. No, perché «già è difficile farne benino una», figuriamoci due o tre. E perché poi è meglio fare 5 milioni di ascoltatori con una radio che 1 milione con 5 radio.
Volanti non è turbato nemmeno dall’ingresso in forze di Mediaset: è un segnale che il settore è interessante. Inoltre la concorrenza non arriva soltanto dalle radio nazionali, in ogni regione si devono affrontare anche le locali, spesso molto forti. Intercettiamo Volanti indaffarato la settimana prima di Sanremo, appuntamento clou per una radio di sola musica italiana.
D. Pronti per il Festival?
R. Per noi è il momento più importante dell’anno. Radio Italia esiste da 35 anni e sono ormai 30 anni di diretta da Sanremo.
D. Ma avete riscontri su ascolti o raccolta?
R. La settimana del Festival è importante per la tv, per la radio sono importanti i successivi due mesi, dipende dalle canzoni che emergono. Però non ci accorgiamo tanto dagli ascolti, perché con l’attuale metodologia si hanno i dati del trimestre dopo almeno 4/5 mesi.
D. Sta per partire la nuova rilevazione degli ascolti voluta dagli editori. Sarebbe stato meglio avere una rilevazione più puntuale?
R. Il Tavolo editori radio è frutto delle decisioni unanimi degli editori, perciò quello che stiamo per fare è stato condiviso da tutti. Ma stiamo iniziando, vedremo come andrà e se c’è qualcosa da modificare.
D. Avete rinnovato da poco il sito, ci sono le app, i social. Radio Italia sta recuperando sul digitale?
R. Siamo in un’era assolutamente digitale, social. Noi ci siamo appieno senza modificare il nostro dna. Siamo l’unica radio che non è cambiata nella sua logica editoriale da quando è nata 35 anni fa. Poi, certo, ci siamo adeguati alle logiche di comunicazione e tecnologiche che abbiamo a disposizione. Siamo stati i primi a usare l’Isdn (le connessioni veloci per Internet negli anni 90, ndr) per i collegamenti da Sanremo, la prima radio ad andare con la tv su satellite con un tecnologia sperimentale. Certo, siamo stati gli ultimi a entrare su Facebook ma siamo i primi oggi.
D. Una trasformazione c’è stata: l’arrivo dei conduttori che all’inizio non avevate. Cosa chiede loro?
R. I nostri conduttori hanno linee guida abbastanza semplici: la durata degli interventi e il linguaggio, soprattutto. Entriamo nelle famiglie, non ci possono essere parolacce, neanche nelle canzoni. Non abbiamo trasmesso È venerdì, non mi rompete i coglioni di Ligabue così come altri brani. I conduttori non possono trattare determinati argomenti. Poi ognuno mantiene le proprie caratteristiche.
D. Ha mai pensato di fare un’altra radio per prendere anche gli ascoltatori più giovani?
R. Lanciare un’altra radio no, non ci ho mai pensato. Mi è capitato di farla: Mondadori mi aveva affidato R101 per una sorta di restyling, ma l’esperimento è durato poco più di un anno e poi si è concluso perché è stata venduta (a Mediaset, ndr), non c’e stato nemmeno il tempo. Però mi sono reso conto di quanto è difficile fare più di una radio. Già è difficile farne benino una, a meno che non hai due strutture autonome. La radio va fatta tutti i giorni, bisogna ascoltare, dare consigli. Non c’è un gruppo che ha due radio leader, ce n’è una che va bene e poi le altre un po’ così.
D. Però fra nuove radio (quelle di Rtl) e il raggruppamento di R101, 105 e Virgin in Mediaset, il settore nell’ultimo anno è cambiato. Sente più concorrenza?
R. Intanto bisogna capire qual è il cambiamento. È entrata nel mercato un’azienda forte ed è un fatto secondo me positivo, che dà credibilità al settore. Nel momento in cui Sky volesse entrare con due o tre radio per me sarebbe un segnale forte, che questo è un mercato importante sul quale si investe. Il passaggio a Mediaset di 105, Virgin e R101 in questo momento non è un fatto che coinvolge la concorrenza diretta. Lo potrà essere quando saranno fatte operazioni di sviluppo e posizionamento, vedremo. Di sicuro alle spalle c’è una grande forza aziendale, di vendita e comunicazione. Però dai progetti bisogna passare ai risultati.
D. La situazione non la turba…
R. C’è molta preoccupazione illogica in questo momento. Ogni giorno ci svegliamo in un mercato che non viene fotografato in maniera corretta. Non ci sono soltanto 13 radio nazionali ma, in ogni regione, almeno 6/7 radio locali forti. Non c’è l’ascoltatore della radio nazionale e quello della radio locale: a Roma lo stesso ascoltatore si sintonizza su Radio Italia, 105, ma anche su Subasio, Radio Globo, emittenti importanti, localmente forti, a volte anche più delle nazionali. Di questo non ci si preoccupa molto. Si pensa ad andare a prendere gli ascoltatori di Radio Italia, Deejay, però in mezzo ci sono tante altre radio. Già è difficile prendere un ascoltatore fedele a un’altra radio da 10 anni, in più non si considerano tutti gli altri attori. Serve molto tempo per crescere ma anche per decrescere.
D. Già, il rapporto nazionali/locali è ben diverso da quello delle tv.
R. Le locali in tv non hanno produzioni ai livelli di una rete nazionale che richiedono risorse pazzesche. Invece ci sono tante emittenti locali in grado di fare produzioni simili alle nostre. Magari non così bene, con meno autorevolezza, ma con le stesse canzoni e bravi speaker si può. Forse per Deejay che ha puntato molto sul talk è diverso, però in genere è così.
D. Manzoni è vostra concessionaria da inizio anno (Viacom Advertising per la tv, ndr). Come va?
R. È ancora presto per dirlo. La concessionaria rappresenta le ruote sopra un motore e una carrozzeria: scaricano a terra il potenziale del motore, se le ruote sono di un certo tipo ovviamente riescono meglio. Noi ci aspettiamo una concessionaria che valorizzi al meglio Radio Italia, non di più, non di meno.
D. Si era parlato anche di altre concessionarie.
R. Abbiamo ricevuto tante offerte e devo dire che gli obiettivi erano abbastanza simili. Abbiamo scelto sulla base di una logica di rapporti e alleanze: Manzoni ha radio complementari alle nostre (la concessionaria del gruppo Espresso, che possiede Radio Deejay, Capital e m2o), e con Radio Italia si aggiungono 4,5 milioni di ascoltatori in più. Questo dà forza a entrambi.
D. Fate un grande concerto all’anno, poi tanti altri eventi. Rende o è un ritorno di immagine?
R. Abbiamo fatto sempre molte cose in giro per l’Italia, così come nel mondo. «RadioItaliaLive Il Concerto» però è qualcosa di straordinario, un palco pazzesco, l’orchestra, grandi cantanti che cantano dal vivo. Ci piace farlo, ci dà soddisfazione. Non gli si può dare un prezzo, un valore. Purtroppo o per fortuna questo fa parte del mio dna: nel nostro auditorium finora abbiamo fatto più di 700 live. Questa logica di Radio Italia si è moltiplicata su Piazza Duomo.
D. La radio digitale è ancora al palo, sarebbe importante per voi?
R. La vedo semplicemente come un’ulteriore tecnologia, difficile che si diffonda in tempi brevi e medi, anche perché qualcuno ha speso decine di milioni di euro per le frequenze, noi ogni giorno ottimizziamo le nostre. Non c’è fretta di buttare qualche miliardo investito. Bisognerà vedere poi se accadrà come è successo per la tv, chi ci fa i contenuti, come viene polverizzato l’ascolto. Di sicuro io non farò tre radio, non è il numero che conta. Meglio 5 milioni di ascoltatori da una radio che 1 milione da cinque. Comunque siamo dall’inizio sul Dab e ci saremo ancora.
D. Linus ha detto su questo giornale che la rivalità fra le radio italiane è anche personale, perché fanno ancora riferimento a chi le ha fondate. Questo vi fa essere maniacali sul prodotto.
R. È chiaro che c’è competitività tra di noi. Io sono in questa radio da 35 anni, 40 anni di lavoro se aggiungiamo Radio Metropolis. E mi permetto di dire che anche Linus è il patron della sua radio, anche se non è il proprietario. È normale la rivalità ma è normale anche che nascano alleanze, di solito quando c’è un pericolo. È accaduto quando ci fu un problema con Scf sui diritti, accade con la battaglia nel Ter per dimostrare al mercato che forniamo dati di ascolto univoci. Poi è vero, se all’interno di Ter io faccio meno ascolti di un’altra radio mi rode di brutto. Ma questa è un’altra storia, se non ci fosse concorrenza saremmo inutili.
di Andrea Secchi, ItaliaOggi