Non è un fenomeno e lo sa benissimo anche lui. Fin dai tempi dei sui esordi ha scelto per sé il ruolo di spalla, ambulance il portatore d’acqua, here la vittima designata per i tanti comici che gli ronzavano attorno. Non era un comico, medical non era un intrattenitore a tutto tondo. Era (e adesso lo è ancora di più) un efficientissimo conduttore, un coordinatore, un vigile urbano da palcoscenico
Il mediano dai piedi buoni è cresciuto ed è diventato un fantasista. La storia professionale di Carlo Conti, classe 1961, fiorentino doc, portatore sano di melanina, è la tipica storia di un uomo assai caparbio, che da ragazzino ha deciso cosa avrebbe fatto da grande e ha fatto di tutto per riuscirci. Dalle prime pionieristiche avventure in terra Toscana al secondo Sanremo di seguito, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta, e oggi Conti raccoglie quello che ha scrupolosamente seminato negli ultimi 35 anni. Non è un fenomeno, il buon Carlo, e lo sa benissimo anche lui. Ai tempi di Vernice fresca (uno dei pochi programmi di una tv regionale rimasto nella storia del piccolo schermo), Conti aveva scelto per sé il ruolo di spalla, il portatore d’acqua, la vittima designata per i tanti comici che gli ronzavano attorno. Non era un comico, non era un intrattenitore a tutto tondo alla Fiorello. Era (e adesso lo è ancora di più) un efficientissimo conduttore, un coordinatore, un vigile urbano da palcoscenico. Ha sempre saputo allentare o stringere la briglia di chi gli sta attorno, con una tendenza innata a non strafare, a stare nei bordi, a non farla fuori dal vaso. Il suo stile è classico, tradizionale, rassicurante, persino un po’ noioso per chi anela a una tv dai ritmi e dai contenuti decisamente più contemporanei. È un uomo Rai pronto a farsi concavo e convesso per l’azienda: sulle reti pubbliche ha condotto di tutto, dal quiz del preserale alle pallose serate estive in questa o quella località di villeggiatura per vecchi rincoglioniti. Ha lavorato per trent’anni in Rai (da Discoring nel 1985) con un solo, grande e inconfessabile obiettivo: arrivare a Sanremo. Una gratificazione meritata, anche perché all’Ariston la Rai ha mandato cani e porci, gente senza arte né parte, ma fino allo scorso anno le porte del teatro sanremese erano rimaste chiuse per l’uomo Rai per eccellenza, l’erede indiscusso di Pippo Baudo, il più giovane dei vecchi e il più vecchio dei giovani. È uno stakanovista, è un perfezionista, è un uomo che, a detta di chi lo conosce, in privato va molto più a briglia sciolta rispetto all’immagine televisiva a cui siamo abituati. Fino all’investitura sanremese dello scorso anno, Carlo Conti era il Gerry Scotti di viale Mazzini: un uomo per tutte le stagioni, un uomo perbene, un aziendalista, il nome da tirare in ballo all’occorrenza ma che quasi mai aveva avuto occasioni importanti. Poi, appunto, il Festival ha cambiato tutto e ha consacrato definitivamente il gregario di successo Conti. Sia chiaro: trattasi di consacrazione che il conduttore toscano si è costruito mattoncino per mattoncino, a colpi di clamorosi successi all’Auditel. Basti pensare a format che all’apparenza non erano nulla di che e che il suo tocco rassicurante (perfetto per l’audience di RaiUno) ha trasformato in trionfi: 50 Canzonissime, I migliori anni, L’Eredità, fino a Tale e Quale Show, di fatto l’asso nella manica che ha portato Conti a realizzare il sogno sanremese. Fino a due anni fa, credevamo che il momento di Conti non sarebbe mai arrivato. Sanremo non era più roba da gente alla Pippo Baudo, visto che nel frattempo c’erano stati Ventura, Fazio, Morandi, Clerici, ma soprattutto Paolo Bonolis, che rappresenta da sempre l’antitesi dello stile contiano. Poi arriva Tale e Quale, sbanca l’Auditel, convince persino la critica e lo traghetta direttamente in Riviera. Una scelta che i dirigenti Rai hanno dovuto (non voluto) fare, visto che il Nostro stava inanellando una serie di successi impossibili da ignorare. E solo l’enorme successo del soporifero ma efficace Sanremo 2015 ha fatto sì che al settimo piano di viale Mazzini cominciassero a tessere le lodi dell’ex mediano dai piedi buoni, ora promosso al ruolo di fantasista.
E se prima Carlo Conti era il Gerry Scotti della Rai, adesso è la risposta pubblica a Maria De Filippi. L’influenza di Conti in Rai è cresciuta esponenzialmente, molti personaggi legati a lui da rapporti di stima e amicizia hanno ritrovato spazi prima perduti. E proprio il rapporto cordialissimo con Nostra Signora della Tv, Bloody Mary, l’Amica di tutti, ha fatto pensare a un’accoppiata clamorosa proprio sul palco dell’Ariston. Ma Maria, che conosce i suoi punti di forza ma anche i suoi limiti, sa benissimo che Sanremo non è roba per lei. E allora niente, amici come prima, ringrazio e rifiuto l’offerta. Chissà cosa pensa, il buon Conti, quando ripercorre mentalmente l’ultratrentennale percorso professionale che lo ha portato dalle seratine in giro per la Toscana al top del piccolo schermo italico. Da riccioluto, occhialuto e nasuto disc jockey di provincia a re della tv italiana: un percorso notevole, non c’è che dire. Fatto sempre con misura (persino troppa), rimanendo “schiscio”, evitando di pestare i piedi a colleghi all’epoca sulla cresta dell’onda, lavorando sodo e conquistando milioni di spettatori, uno dei pubblici più fedeli della tv dei giorni nostri. Sulla “modernità” della tv contiana possiamo anche discutere (e di cose da dire ce ne sarebbero assai), ma il Nostro ha compiuto un mezzo miracolo, senza dover dire troppi grazie in giro. E non è poco, da queste parti.
Il Fatto Quotidiano