I DUE VOLTI DI KATE BECKINSALE, ARISTOCRATICA E VAMPIRA SUL SET

I DUE VOLTI DI KATE BECKINSALE, ARISTOCRATICA E VAMPIRA SUL SET

Parla l’attrice: vampira Selene nella saga «Underworld», aristocratica in «Amore e inganni»: «Nella mia carriera alterno film d’autore e commerciali, così sfido Hollywood»

kate-beckinsale«Lady Susan ha un carattere luciferino. Non a caso qualcuno nel film mi definisce “un serpente nel giardino dell’Eden”». Sorride Kate Beckinsale parlando della perfidia del suo personaggio in Amore e inganni. La passione del pubblico americano per la serie televisiva Downton Abbey ha riportato sugli schermi i film in costume con matrici letterarie. E una delle attrici più richieste del filone è proprio Kate Beckinsale, che spazia nei generi essendo popolare anche per il ruolo della vampira Selene nella saga Underworld. Ha ottenuto ottime critiche per Amore e inganni (diretto da Whit Stillman) sugli intrighi di una vedova pronta a tutto per trovare un uomo ricco da sposare nell’Inghilterra del Settecento: la donna si distingue per la sua falsità, non fa nulla senza considerare il suo interesse personale, compie un viaggio non solo per sé ma anche per trovare un marito alla figlia. Il film, in sala da giovedì con Academy Two, è tratto da Lady Susan, uno dei primi lavori di Jane Austen (1775-1817).
Kate scherza: «È curioso che io sia impegnata in America e presto andrò anche a Berlino e a Mosca, per le “prime” di due film che non potrebbero essere più diversi. Se Amore e Inganni si avvale di cappellini con veletta e crinoline, Underworld Blood Wars, quinto round delle guerre tra licantropi feroci e vampiri, ha un guardaroba ricco di tute di pelle nera sbrindellate». «Certamente — prosegue — io nei panni di Lady Susan e Chloe Sevigny, mia partner nel film, abbiamo soddisfatto ogni vanità indossando i costumi d’epoca e girando nelle splendide località del Surrey, del Kent e a Londra… Oltre alle buone recensioni, sono stata gratificata dal fatto che agli uomini è riuscita simpatica la mia scaltra vedova e non da meno lo è parsa anche la mia confidente Alicia che cerca anche per la mia figliola Frederica un buon partito».
Ma nella realtà c’è qualcosa di Lady Susan in lei? «Non ho davvero molto in comune e non ho mai valutato gli uomini in base al loro patrimonio. Cerco sempre un equilibrio tra il privato e il lavoro, inseguendo una vita normale. Dedico tutto il tempo possibile a mia figlia adolescente Lily, nata dal legame durato a lungo con l’attore Michael Sheen». Nonostante il numero sempre più alto delle attrici inglesi anche molto giovani che Hollywood scrittura, Kate, figlia d’arte (i suoi genitori sono attori e molto presenti nella tv anglosassone), ha un posto tutto suo nel panorama hollywoodiano. Parla francese e russo, ha molte passioni oltre al suo lavoro. Si interessa di letteratura e d’arte e, ammette: «A volte rimpiango di aver lasciato a metà gli studi che stavo frequentando all’Università di Oxford nei corsi di Letteratura e Lingua russa e francese, ma il mestiere d’attrice è stato più forte».
Scorsese le ha affidato il ruolo di Ava Gardner in The Aviator, ha recitato diretta da Jonathan Kaplan, Michael Winterbottom e con Ben Affleck in Pearl Harbor. Come sceglie i film? «Regia e sceneggiatura sono fondamentali. Mi piacerebbe essere diretta da donne come è accaduto in Lauren Canyon. Sta crescendo una solida squadra di registe in America». Ma c’è un autore con cui avrebbe voluto lavorare. «Era John Schlesinger. Per anni, dopo aver visto Billy il bugiardo e Domenica, maledetta domenica, ho sognato di lavorare con lui, un inglese che Hollywood non è mai riuscita a snaturare». La competizione è alta a Hollywood. Come si difende? «Gioisco se vedo un bel film con le attrici che prediligo: Julianne Moore e, tra le giovanissime, Emma Stone. Ogni affermazione femminile aiuta la categoria. Ho anche la fortuna di potermi dividere tra film di genere, come la serie Underworld, e opere d’autore. Perché se i tuoi film non incassano, Hollywood ti mette in un angolo e fa presto a dimenticare tutto il tuo lavoro»

di Giovanni Grassi, Corriere della Sera

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