«Niente azione! Solo dialoghi! Era questo il patto!» grida la donna quando l’uomo con cui sta parlando improvvisamente si alza e si mette a camminare sul prato.
E la sala, dopo un’ora e oltre, tira un profondo respiro liberatorio. Senza azione, ma fatto solo di dialoghi, è andato in scena ieri a Venezia Les Beaux Jours d’Aranjuez, il film uno dei più parlati e più lenti della storia del cinema che Wim Wenders ha tratto dall’opera teatrale dell’amico e compagno di tante bellissime avventure artistiche Peter Handke. Trama: uno Scrittore seduto nel suo studio davanti alla macchina per scrivere immagina (o sono loro a immaginare lui?) una Donna e un Uomo che parlano, seduti lì fuori, in un giardino sopra Parigi. Che forse è l’Eden. E di cosa parlano? Tecnicamente, di quali sono le differenze di percezione, sentimenti e sessualità tra il maschio e la femmina (ma c’è posto anche per la botanica, l’ornitologia, la filosofia, la storia, la poesia). E, metaforicamente, di tutto: con un gioco di rimandi e citazioni che spaziano dalla Bibbia (con una mela rossa che gira tra le mani dei protagonisti) al cinema western. E per fortuna che su un’ora e quaranta di film c’è spazio per un rivitalizzante stacco musicale di Nick Cave al pianoforte (ah, a un certo punto si intravede sullo schermo anche Peter Handke vestito da giardiniere).
Girato (inutilmente) in 3D, per approfondire l’emotività dei personaggi, e figlio di tre culture (pensato da un austriaco, scritto in francese, diretto da un tedesco) è come lo ha fulmineamente recensito con una battuta Tatti Sanguineti uscendo dalla Sala Darsena «un film perfetto nella sua noia terribile». Un altro collega, di cui censuriamo il nome, ha commentato che «a Wim Wenders andrebbe tirata dietro la macchina da presa». Il fatto è che la macchina da presa è di Wim Wenders, un maestro assoluto. E se hai la possibilità di portare Wenders a Venezia, cosa fai? Lo rifiuti? E così, anche se Les Beaux Jours d’Aranjuex come faceva notare qualcuno dovrebbe passare al Centro sperimentale invece che alla Mostra del cinema di Venezia, eccolo qui al Lido. Un film per il quale gli altri festival e tanta critica andranno in delirio. Ma il pubblico? Ieri mattina in sala per le proiezioni riservate agli addetti ai lavori, quindi cinefili era curioso segnare sulla moleskine le progressive defezioni degli spettatori in coincidenza con spezzoni di dialogo tipo: «È solo la Bellezza che dà bellezza» o «Ciò che siamo è perduto già dall’inizio». Alla fine c’erano intere file vuote. E in quelle piene si sonnecchiava.
Il Giornale