LUHRMANN COME SCORSESE: “RACCONTO IN TV COME È NATO IL VERO RAP”

LUHRMANN COME SCORSESE: “RACCONTO IN TV COME È NATO IL VERO RAP”

Anche il regista australiano si dà alla musica con una serie di Netflix da 120 milioni di dollari

i-2-get-down-netflix-rampageCi voleva proprio lui, Baz Luhrmann, per raccontare la nascita del rap a ritmo di rap.
Una serie tv, dodici episodi e un’idea che da sola raccoglie musica, politica e costume: The Get Down, attesa dal 12 agosto su Netflix da chiunque voglia capire come quei suoni nati in un quartiere di periferia siano arrivati a conquistare il centro della scena. “Il progetto mi frulla in testa almeno da dieci anni”, spiega lui a Los Angeles, seduto di una poltroncina ormai congelata dall’aria condizionata, emozionato e sorridente quasi fosse il suo debutto. Invece questo australiano molto a modo, capelli bianchi e gestualità raffinata, ha diretto Romeo + Giulietta, Moulin Rouge e Il Grande Gatsby, collezionando Oscar e belle recensioni e soprattutto disegnando uno stile cinematografico molto rap grazie a stacchi frenetici e messinscene ridondanti. “A dire il vero da ragazzo ero più vicino a suoni tipo Lady Marmalade – spiega alludendo al brano trainante di Moulin Rouge con Christina Aguilera, Lil’ Kim, Mya e Pink – ma poi mi sono innamorato di questa epopea”. Per intenderci è l’epopea del rap, nato dalla fantasia e dalla rabbia di ragazzi che in The Get Down appaiono realmente come erano, con abiti colorati e teste di capelli nerissimi, armati più di bombolette spray e giochi di parole che di droga o slogan rivoluzionari.
“Allora la ‘disco music’ era la grande protagonista e noi abbiamo cambiato tutto”, dice Grandmaster Flash, uno dei pionieri del genere (nella serie è interpretato da Mamoudou Athie, però figura anche come produttore associato mentre Nas è produttore esecutivo). Partirono dal ritmo delle batterie rock e fusion, spiega, e il primo a dare l’ispirazione fu quello riconoscibilissimo di Walk this way degli Aerosmith: “A quei pochi secondi iniziali aggiungevano un altro beat e poi un altro ancora fino a costruire una nuova forma di canzone e un tipo di linguaggio che ancora adesso è attuale” pontifica con quella teatralità tipica di chi è abituato a fare show anche semplicemente parlando. È rap dalla testa ai piedi, insomma.
Come rap è anche il montaggio di The Get Down che, tra l’altro, è la serie più costosa di Netflix, 120 milioni di dollari, sette e mezzo a puntata con un risultato che basta vedere il trailer per comprendere: spettacolare. “Ho pensato di mescolare una grande storia, ossia la nascita di un genere musicale che ha cambiato il mondo, con tante piccole storie, ossia le vicende personali dei protagonisti”, dice Luhrmann. Tra questi, il più protagonista di tutti è lo spirito collettivo dei ragazzi del South Bronx intorno al 1977 in una città intasata da disco music e aggredita dal punk. “Con un pizzico di coraggio tu potresti essere qualcuno” dice la mamma a uno di loro. “Io ce l’ho il coraggio” è la risposta.
E non era facile averlo senza tracimare nella violenza o nella droga e senza ridurre tutto a una lotta accademica o populista tra bianchi e neri. La lotta c’era, ovvio, anche perché, come dice qualcuno, “questa non è Disneyland, è il Bronx” con treni e metropolitana a ricamare le giornate dei pendolari e i murales a coprire gli intonaci scrostati. “Io come Martin Scorsese per il rock al cinema? Mi piacerebbe. Qui abbiamo raccontato questa storia dal punto di vista dei ragazzi, che erano difficili e vivevano in strade pericolose” ha detto Luhrmann che tutto ha in testa tranne che di contestualizzare il battesimo del rap nel Bronx con i crateri razziali che ancora punteggiano gli States. “Il nostro messaggio è positivo”, conferma. E, dopotutto, dalla serie si capisce che lo spirito è ancora più poetico rispetto a Empire, l’altro caposaldo del genere in tv visto che racconta l’hip hop attraverso la lente del business. E non c’è neppure, nelle puntate di Netflix, quello spirito alla rockabilly negli anni Cinquanta, cioè di contrasto frontale per musica e stili di vita tra diverse tribù adolescenziali. “Qui non raccontiamo lo scontro di popolarità tra rap e disco, ma siamo partiti appena un po’ prima, quando la dance era al top e il rap non aveva ancora oltrepassato il Bronx”.
Insomma una storia di entusiasmi, rabbia e amori che sfociano in un suono e in una attitudine di vita che ancora oggi danno il ritmo all’attualità, penzolando spesso nel cattivo gusto e qualche volta inciampando nella cronaca nera. Ma qui, in The Get Down, si respira più che altro la vitalità di ragazzi disorientati che hanno trovato la bussola “cantando rime giù nella metropolitana del Bronx”, come riassume Luhrmann. In fondo, è il romanzo di una generazione.

Il Giornale

Torna in alto