Max Biaggi dopo l’incidente: «Ho visto la morte e ho scoperto l’amore»

Max Biaggi dopo l’incidente: «Ho visto la morte e ho scoperto l’amore»

«Ho imparato che l’amore di un figlio, di una famiglia lo percepisci fino in fondo quando ti trovi sul baratro. Vale più di qualsiasi titolo»

«Questa volta Dio lassù non mi ha voluto», scherza il Corsaro dopo la seduta di fisioterapia alla Clinica Pio XI di Roma dove ha iniziato la lunga fase di riabilitazione. Si sente un sopravvissuto; si sente felice; si sente un altro uomo.

Caro Max Biaggi, come sta?

«Provo a sdrammatizzare, ma è ancora molto dura».

Una persona normale si lamenta per una costola incrinata, lei come fa a resistere con dodici rotte?

«Te le tieni, fanno male e fatico a respirare. Così è purtroppo, e non ci puoi fare niente».

Dell’incidente del 9 giugno a Latina che cosa ricorda?

«Niente. Molti hanno detto che sono sempre rimasto cosciente, ma non è così, probabilmente ho anche picchiato la testa. Per i primi tre giorni, anche a causa di tutta la morfina che mi davano, ero totalmente rintronato: Bianca (Atzei, la compagna, ndr) mi ha raccontato che dicevo certe fesserie disumane…».

Quando ha ripreso conoscenza?

«Quando sono arrivato all’ospedale. All’inizio ricordo che non respiravo e credevo fosse colpa del casco, invece era lo schiacciamento delle costole. La cosa buona è stata che con l’elicottero mi hanno portato al San Camillo, che ho scoperto poi essere un’eccellenza nel settore. Una gran fortuna. La cosa cattiva invece sa qual è?».

Quale?

«Che per curarmi hanno fatto a pezzi la mia bellissima tuta…».

Ora può dirlo: ha rischiato di morire?

«Appena mi sono ripreso, il primario della rianimazione, Claudio Ajmone Cat, mi ha spiegato la gravità del trauma e mi ha detto che con questo tipo di trauma toracico maggiore sopravvive solo il 20 per cento dei pazienti. Lì, lo confesso, me la sono fatta addosso dalla paura».

Ha detto che ha rivisto il film della sua vita: trama?

«Tanti flash di momenti indelebili: una corsa da bambino in un prato, io boy scout, la prima volta su un campo di calcio, la prima volta in moto, la nascita dei miei figli. Ma era più un cortometraggio, tutto durava troppo poco perché mi svegliavo subito col terrore che potesse finire male».

Lei come Nicky Hayden e Michael Schumacher, ma più fortunato. Ci ha pensato?

«Eccome. E sa qual è la vera beffa che ci accomuna? Che tutti e tre abbiamo avuto l’incidente a 50 all’ora o giù di lì».

Il luogo comune di questi giorni dice: che cosa spinge un uomo di 46 anni con tante medaglie a rischiare ancora in pista?

«La passione. È lei che a volte ti mette il paraocchi, ti toglie obiettività e ti fa fare cose che non andrebbero fatte».

Ha detto che ora non deve più dimostrare niente a nessuno: pensava anche a se stesso?

«Certo. Ma il mio carattere mi porta sempre a spostare l’asticella. Si ricorda? Avevo vinto il Mondiale Superbike a 41 anni, ed era già un’impresa. Però dopo tre anni di inattività ho voluto vedere se ero capace di fare un podio e ce l’ho fatta. Lì però sono stato intelligente e mi sono fermato…».

Adesso continuerà a correre?

«Al momento direi di no. Alla moto non penso proprio, non mi pare saggio. O, se ci penso, lo faccio in un altro modo».

Quale?

«Vorrò lavorare coi giovani e insegnare loro che non basta il talento, ma serve lavorare su tanti altri aspetti, la testa anzitutto».

E intanto magari si sceglierà un altro sport? Da ragazzino era un gran calciatore…

«Mi hanno suggerito il golf. Una buona idea, sperando di non farmi male anche lì…».

A papà Pietro ha detto subito «l’ho sfangata ancora…».

«Povero, si è spaventato tanto. Pensi che mi ha pure tenuto la mano: erano 45 anni che non lo faceva! È stato bellissimo».

E Bianca non l’ha lasciata un secondo.

«Noi non ci stacchiamo mai già nella vita di tutti giorni. Avevo e ho un gran bisogno di lei. È il mio angelo custode, la persona che amo più di tutte al mondo».

I suoi due figli come hanno reagito?

«Me li ha portati due volte Eleonora (Pedron, la mamma, ndr): un’emozione pazzesca. Con loro cercavo di fare quello sano, ma più di tanto non ce l’ho fatta…».

Tra centinaia di messaggi quale le ha fatto più piacere?

«Restando alle moto, Marquez mi ha scritto, Lorenzo dopo Assen è venuto a trovarmi, di Valentino ho letto che è stato uno dei primi a esprimere solidarietà e mi ha fatto piacere, il grande Wayne Rainey mi ha chiamato. E poi tantissimi amici famosi e non famosi, più uno che voglio ringraziare più di tutti».

Prego.

«Il presidente del Coni, Giovanni Malagò: oltre a venire a trovarmi, mi ha messo a disposizione i fisioterapisti del Coni con i quali ho iniziato a lavorare. Un gesto da sportivo e da uomo vero».

La gara di Assen l’ha vista?

«Purtroppo non vedo gare da venti giorni, ma mi sto attrezzando per domenica».

Dove ci sarà ancora la nuova italianità che dà spettacolo. Rossi, Dovizioso e Petrucci ricordano un po’ Rossi, Biaggi, Capirossi?

«Sono bravi, mi piacciono. Certo, due o tre gare non bastano per parlare di eredità, ma sicuramente possiamo sperare in un grande futuro».

Ora che sta meglio, si è già raccontato una morale di questa storia?

«Sì. Dice che l’amore generato da un figlio, da una famiglia, da una compagna non lo percepisci davvero fino a quando non ti trovi sul baratro. Ho capito che non dobbiamo trattenere i sentimenti ma dare e dire quello che si ha dentro sempre, non solo nelle difficoltà. L’amore che dai torna: quello arrivatomi da ogni parte del mondo e da tanta gente sconosciuta mi ha commosso. Altro che vincere un Mondiale…».

Nell’ultima sua canzone, che parla della vostra storia, Bianca canta: «Da quando stiamo insieme non esiste più una nuvola». Anche il cielo di Max è sereno adesso?

«Io me lo auguro. A sentire il chirurgo che mi ha operato, Giuseppe Cardillo, è così, ma c’è tanto da fare per tornare a posto. I tempi di recupero non me li danno, sarà questione di mesi, magari un anno. So che posso tornare come prima ma ci vogliono forza e sacrificio: io penso di essere preparato».

Poi porterà ancora Bianca in moto come nel video della canzone?

«Uhm, non lo so. Magari è meglio una bella cabriolet, che dice?».

Alessandro Pasini, Il Corriere della Sera

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