Un film che ribalta le carte della cultura occidentale
Due anni fa aveva sorpreso tutti con il suo esordio da regista e con un film, Get Out (Scappa), che aveva spiazzato pubblico e critica, conquistando entrambi. Oggi Jordan Peele ci riprova con “Us“, in Italia dal 4 aprile con il titolo “Noi“, ma il regista afroamericano non è più una sorpresa bensì è già diventato uno di quei fenomeni alla Tarantino che, più che avere successo in un genere, il genere lo hanno creato. Peele, infatti è già maestro dell’horror intelligente, divertente, provocatorio, politicamente impegnato, attento alla questione razziale, intrigante e costruito su diversi livelli.Anche “Us” è un film alla Peele, dove il mostro non si annida in una casa piena di razzisti come nel suo primo film o su un’astronave o nel sottoscala, ma è rappresentato da noi stessi e dalle nostre paure.US è il pronome inglese ‘noi’, prima persona plurale, ed è anche l’acronimo che sta per Stati Uniti d’America e “Us”, che vede protagonisti il premio Oscar Lupita Nyong’o, Winston Duke, i giovanissimi Shahadi Wright Joseph e Evan Alex e una spassosa Elisabeth Moss, è un film che ribalta le carte della cultura occidentale, della paura dello straniero. Questa volta a far paura non è l’altro, è qualcosa di molto più vicino e per questo più spaventoso, a far paura questa volta siamo noi, i nostri sosia, per la precisione.Peele spaventa e diverte attraverso il racconto dei Wilson, una famiglia americana agiata e privilegiata: marito e moglie, due ragazzi e una bella casa al mare. A rompere la quiete arrivano quattro individui, marito moglie e due ragazzi, identici ai componenti dell’idilliaco quadretto, eppure diversissimi. “Ogni volta che faccio un film mi chiedo cosa mi spaventa a livello primordiale, a livello di fobia. – dice il regista – Poi inizio a sezionare. E la paura del sosia la porto dentro da tempo. Ho fatto ricerche sulla mitologia del doppio e ho scoperto che uno dei suoi significati ha a che fare con il tentativo di sopprimere se stessi e i propri istinti; e poi ho pensato di cercare di applicare quel concetto non al singolo individuo ma alla sua pluralità, al ‘noi’, alla comunità.” Peele, che qualcuno paragona a Spike Lee, altri a Tarantino, altri ancora a Spielberg, non ha paura di esporsi né di esporre le proprie idee.”Racconto la comunità americana, privilegiata e che ha paura di perdere i suoi privilegi e per questo teme l’altro quando dovrebbe aver paura di sè stessa. Quando siamo insieme noi, inteso come gruppo, possiamo essere il peggior mostro mai esistito. Possiamo realizzare cose stupende ma anche atrocità inaudite. E a fare le une e le altre è sempre una comunità di persone. Il fatto è che il ‘noi’, il gruppo, tende a cancellare le responsabilità che il singolo avrebbe e lo fa in una maniera in grado di creare atrocità. Tendiamo sempre a proteggere la nostra tribù, demonizzando gli altri, ma è il concetto di noi e degli altri che nasconde infinite debolezze”. Una delle prerogative dei film di Peele è che è amato anche da chi non ama il genere horror: “Anche questa volta ho cercato di stemperare la tensione con l’umorismo. Se dai al pubblico una valvola di scarico, si diverte di più. E comunque, chi dice di non amare gli horror è perché ha guardato l’horror sbagliato. E’ molto importante per me raccontare storie che qualsiasi audience possa amare. Tutto dipende dall’efficacia della storia. Se il racconto è forte, allora puoi spingere il confine un po’ più in là e così promuovere una più vasta rappresentazione sul grande schermo. E questo è il mio obiettivo”.
Andrea Carugati, Ansa