La discesa dark dei nuovi episodi, il processo creativo dietro alla serie e il suo destino: il resoconto del nostro incontro con i creatori della serie cult Sherlock, con la quarta stagione dal 2 gennaio su Netflix.
Le relazioni – complicate, imperscrutabili e gravate del fardello del passato – tra Holmes e il fratello Mycroft, tra i neogenitori Mary e John, tra quest’ultimo e il detective, e infine tra il protagonista e un nuovo formidabile villain (Culverton Smith, incarnato dal Toby Jones di Captain America – Il primo Vendicatore) sono al centro della quarta stagione di Sherlock. L’annata, sulla quale aleggia costantemente lo spettro di Moriarty, debutta il primo gennaio sulla britannica Bbc 1 e il giorno successivo sarà accessibile al pubblico italiano grazie a Netflix. Lo show torna con la medesima distribuzione delle precedenti – tre episodi, ispirati ad altrettanti casi creati dal papà letterario del detective Arthur Conan Doyle, in forma di tv movie da novanta minuti.
Ideata dallo sceneggiatore scozzese Steven Moffat (Jekyll, Doctor Who) e dall’attore e autore inglese (Doctor Who, The Tractate Middoth) Mark Gatiss mentre i due chiacchieravano su un treno per Cardiff, la versione contemporanea del classico letterario quest’anno prende una piega che il duo ha più volte definito dark. Nel nostro incontro accennano al perché di questa definizione, riflettono su passato, presente e futuro della serie cult e ci svelano il nome dell’altro personaggio iconico britannico su cui sognano di scrivere.
Continuate a ripetere che la quarta stagione è più dark: perché?
Mark Gatiss: “Abbiamo dipinto tutto il set di nero e abbiamo girato, era molto più economico così! Naturalmente scherzo, abbiamo scelto questo termine perché l’annata lo è decisamente a livello emotivo.
WIRED