Il regista, in sala con “Chi ha ucciso Don Chisciotte”, “benedice” il collega italiano candidato allʼOscar
Sandali ai piedi e sorriso rilassato, Terry Gilliam sembra non essere preoccupato per l’uscita del suo “Chi ha ucciso Don Chisciotte”, che ha visto la luce dopo ben 25 anni di produzione. Chiuso questo enorme capitolo, il regista non ha in ballo nuovi progetti anche se il ruolo di semplice “spettatore” gli va stretto. “Non guardo film perché mi deprimo. Penso siano più belli dei miei, però di registi italiani mi piace Matteo Garrone” confessa a Tgcom24, ‘benedicendo’ così il nostro candidato all’Oscar. Ospite in Italia per il tour promozionale del film, il membro americano dei Monty Python non abbandona mai il suo humor durante le interviste. A chi gli chiede se l’anno prossimo celebrerà il mezzo secolo dei Python, risponde che gli “piacerebbe molto festeggiare con chi ancora ci sarà”. E nel suo mirino finiscono anche un paio di attempate signore, che si lamentano della piccola cricca di giornalisti presenti nella hall dell’hotel. “Odio i vecchi. Oltre i 65 anni dovrebbero essere già tutti morti, invece continuano a parlare e parlare” commenta con una risata. Lui, che di anni ne ha 77 anni, non si preoccupa dell’età e non sembra temere nemmeno i giudizi a cui andrà incontro la sua travagliata opera “L’uomo che uccise Don Chisciotte”.
Molti l’avevano bollato come il suo film incompiuto (ce n’è almeno uno nella carriera di ogni grande regista), invece dopo 25 anni è arrivato in Italia a presentarlo…
Esatto, non come quel pigro di Orson Welles che l’ha fatto morire il suo Don Chisciotte perché era troppo impegnato a girare pubblicità e altre cose. Qualcuno doveva pur portarlo a termine (ride).
C’è stato un momento in cui ha pensato che non ce l’avrebbe fatta?
Il problema è stato che tutti intorno a me dicevano smettila, basta, fai qualcos’altro. Così io mi fermavo, facevo un altro film e poi riprendevo. E’ come salire sul monte Everest. La gente dice ‘arrivi a un certo punto e poi ti fermi’. No, sono arrivato fino a qua e adesso vado fino in cima.
Immagino avesse molte aspettative. Ha avuto paura la prima volta che è stato proiettato; che non le piacesse o non piacesse al pubblico?
E’ stato l’opposto in realtà. Ero più preoccupato quando abbiamo iniziato a girare, avevo paura di deludere le persone che lo aspettavano da tempo. Le prime due settimane di riprese sono state molto difficili, ma alla fine il lavoro prende il sopravvento. Vai avanti e smetti di pensare.
Ha girato molto in esterni e con grandi oggetti scenici. Crede sia un modo di fare cinema antitetico ai film in cgi?
Era importante per gli attori recitare in esterni e mondo reale, con oggetti veri. Una scenografia reale li fa concentrare sulle proprie abilità e su quello che stanno facendo. Nel film ci sono anche momenti cg, ma se non si notano allora vuol dire che abbiamo fatto centro. E’ uno strumento in più, da usare con parsimonia solo dove ce n’è bisogno.
Come si è avvicinato al romanzo e al mito di Don Chisciotte? C’è stato un elemento che ha voluto trasportare nel film?
Nessun elemento in particolare, è stato più come andare in un negozio: uno di questo, due di quello. Ci sono stati diversi pezzi che hanno attirato la mia attenzione e li ho messi insieme. Poi decidi quali aspetti della storia raccontare e prendi ciò che ti serve
Cosa le piace invece guardare da spettatore?
“Non guardo film perché mi deprimo. Penso sempre che siano molto più belli di quelli che faccio io (ride ndr). Della nuova generazione mi piacciono molto i fratelli Cohen e anche Matteo Garrone. Poi ci sono “i tre messicani”: Alfonso Cuaron, Alejandro Gonzalez Inarritu e Guillermo Del Toro”.
Nel 2011 ha girato a Napoli il cortometraggio “The Wholly Family”, le piacerebbe tornare a girare nel nostro Paese?
Se avessi una buona idea sicuramente, perché no? Amo Napoli, è una città complessa che mescola moltissimi elementi e popoli. Insomma un gran bel casino
tgcom24