BEN FOSTER, “IO DOPATO PER ENTRARE NEI PANNI DI AMSTRONG”

BEN FOSTER, “IO DOPATO PER ENTRARE NEI PANNI DI AMSTRONG”

The Program di Stephen Frears”Una storia mitica, view perfetta… ma non era vera”. Così Lance Armstrong ospite nel 2013 del talk show di Oprah Winfrey, confessando di essersi dopato in ognuno dei sette tour de France vinti (dal 1999 al 2005), descrive quei trionfi, che ne avevano fatto un’icona mondiale. E’ uno dei passaggi in The program di Stephen Frears, in uscita l’8 ottobre con Videa in 250 copie, che ricostruisce la vicenda del ciclista americano, interpretato da Ben Foster. ”Questo non è un biopic, ma un crime movie su Armstrong – ha spiegato il regista, autore fra gli altri di The Queen e Philomena -. Non sapevo quasi niente su di lui a parte le notizie sui giornali. Ma leggendo una recensione del libro di Tyler Hamilton, ex compagno di squadra di Armstrong, che si dopava con lui, ho capito quanto fosse interessante il personaggio”. Frears definisce l’ex campione ”un uomo molto intelligente e molto stupido, un po’ eroe, per essere sopravvissuto al cancro, un po’ santo per aver raccolto tanto soldi per la ricerca sui tumori, ma anche un po’ diavolo”. Ha provato a contattare Armstrong? ”No, visto che dice solo bugie” risponde secco Frears. Mentre il 34enne Ben Foster, un tentativo lo ha fatto, ”ma Lance non era interessato a parlare con me”. Prima di accettare il ruolo, ”non ero mai salito in bicicletta ed avevo solo sei settimane per prepararmi. Quindi per meglio rappresentare il mondo di Armstrong mi sono sottoposto anche, sotto stretto controllo medico, a un programma di doping”. Con quali effetti? ”Il doping funziona immediatamente sul corpo migliorando le prestazioni – commenta l’attore -. Il problema per chi lo usa è riuscire a smettere”. Foster non vede Armstrong come un cattivo assoluto: ”Credo ci sia anche un’angolo di sincerità nel suo cuore – dice -. Lo dimostra l’impegno per la sua fondazione contro il cancro (Livestrong, ndr) per cui ha raccolto mezzo miliardo di dollari”. Quello ”di Stephen è un atto d’accusa contro la cultura del doping, che allora dominava, lo usavano praticamente tutti”. Nel film, ispirato da Seven deadly Sins’, il libro inchiesta di David Walsh (impersonato da Chris O’ Dowd), giornalista inglese che contro tutto e tutti scoprì e denunciò gli imbrogli di Armstrong, grande spazio è dato anche al ruolo del medico italiano Michele Ferrari (Guillaume Canet) ”soprannominato Nosferatu” dice Frears, e creatore del ”più sofisticato programma di doping nella storia dello sport”, a base, fra gli altri, d’epo, trasfusioni, ormone della crescita, cortisone e testosterone, e a prova di controlli, che fece di Armstrong e della sua squadra, la U.S Postal, un ‘treno blu’ imbattibile. Oggi, commenta Valerio Piccioni, giornalista della Gazzetta dello Sport che ha seguito la vicenda, ”i controlli sono molto più efficaci, ma dire che il doping sia scomparso dal ciclismo è una bestemmia. Le cose sono migliorate ma il problema è la mentalità da branco, l’omertà”. Il regista trova la storia di Armstrong molto attuale: ”Basta aprire i giornali, da Blatter allo scandalo della Wolkswagen. Viviamo in un’epoca di corruzione megagalattica, e voi italiani l’avete raccontata bene, con film come Le mani sulla città o Cadaveri eccellenti”. Il regista intanto ha quasi finito il suo nuovo film, con Meryl Streep protagonista, su Florence Foster Jenkins (già soggetto ultimamente di Marguerite di Xavier Giannoli, ndr), ”la peggiore cantante che si sia mai esibita nella storia del Covent Garden” . Ormai ”si preferiscono film da storie vere, forse perché forse creano più empatia col pubblico – dice Frears -. Chissà se oggi attori come Cary Grant o Audrey Hepburn, avrebbero avuto una carriera…”.

Torna in alto