Jason Bateman è il volto rassicurante del grande schermo. Grazia l’ha incontrato per scoprire il suo lato ribelle, ma lui preferisce essere uno di quegli uomini che fanno sempre la cosa giusta. Anche perché, dice, è così che ha conquistato Nicole Kidman e Jennifer Aniston
«Se una storia è complicata, di solito chiamano me», dice Jason Bateman. L’attore americano, famoso per i ruoli da uomo regolare che si trova nelle situazioni più assurde, sembra aver accettato il suo destino. Anzi, ormai fa molto di più: dal 1° settembre arriva al cinema accanto a Nicole Kidman nel bizzarro film La famiglia Fang, tratto dall’omonimo romanzo di Kevin Wilson. La novità è che la bella star australiana, una volta acquistati i diritti della storia, ha voluto proprio Bateman: non solo nel ruolo di suo fratello sul set, ma anche in quello di regista.
Quando incontro Jason per parlare di uno dei titoli più apprezzati recentemente dalla critica, non so bene che cosa aspettarmi: sul grande schermo è Baxter, un giornalista solitario, che insieme con la sorella Annie, un’attrice famosa ma alcolizzata, deve seguire le tracce dei suoi genitori scomparsi. «Ma i Fang non sono una famiglia normale», mi dice l’attore. «Per loro ogni momento della vita è solo una performance artistica: Annie e Buster vengono allevati così e, da adulti, devono capire se la sparizione dei genitori è solo la loro ennesima messa in scena o qualcosa di diverso».
Di famiglie disfunzionali Bateman è un po’ un esperto. Se è arrivato alla regia lo deve anche alla serie tv cult Arrested Development – Ti presento i miei (su Netflix), nel ruolo di Michael Bluth, il padre single che deve mettere ordine nell’azienda di famiglia e tra i suoi parenti irresponsabili. Fuori dal set, invece, Jason è uno degli attori più lontani dagli scandali che Hollywood abbia mai conosciuto: è sposato da 15 anni con Amanda Anka, figlia del cantante Paul, e con lei ha avuto due figlie, Francesca e Maple, 10 e 4 anni. Quanto alle amicizie, oltre a Kidman, Bateman è molto vicino a Jennifer Aniston, l’attrice che ha avuto accanto nei due film della serie Come ammazzare il capo e che in questi giorni ha ritrovato nell’attesa commedia natalizia Office Christmas Party, dove i dipendenti di un’azienda rispettabile sono i protagonisti di una notte esagerata che avrà molte conseguenze.
Spesso sul set mette a confronto le responsabilità della vita adulta con i problemi vissuti durante l’adolescenza. Questo conflitto nasce dalla esperienza personale?
«Credo sia così un po’ per tutti. Cresciamo con dei genitori e il loro modo di fare ci plasma, come fanno le esperienze che viviamo, le nostre amicizie, gli insegnanti che incontri nel tuo cammino. Poi diventi adulto e puoi solo affrontare i tuoi guai con gli strumenti che ha acquisito in quegli anni. Ed è allora che ti rendi conto che l’adolescenza, oltre ai lividi e alle ferite, ti ha lasciato qualcosa su cui costruire il tuo successo».
Lei, da ragazzo, come curava quelle ferite?
«A volte mi bastava stare con gli amici, altre volte mi dedicavo allo studio e lasciavo passare i brutti momenti. Ho imparato presto che non puoi pensare che la vita sia perfetta, ma puoi apprezzarla in tanti modi diversi».
È da qui che viene la sua passione per la commedia, dalla voglia di superare i momenti difficili?
«Forse. Non sono un cinico: non credo ci sia nulla di divertente in un uomo che deve rimettere insieme i pezzi della sua esistenza. Non mi piace ridere delle insicurezze di qualcuno e so che non piace neanche al pubblico. La sfida interessante, come attore, è mostrare che ogni storia, anche in una commedia, ha il suo lato serio».
Com’è andata per La famiglia Fang? Un giorno Nicole Kidman l’ha chiamata e le ha detto: vuoi dirigere questo film?
«Più o meno. All’inizio non potevo credere che un’attrice come lei volesse proprio me. Poi ho letto bene il copione e ho capito: la storia dei due fratelli e dei loro genitori bohémien è complicata, ci sono continui flashback ed era difficile tenere tutto insieme. Per fortuna, sul set, Nicole ha reso tutto semplicissimo: non abbiamo mai avuto problemi e questo ha reso il mio lavoro più facile».
In tv e al cinema lei finisce spesso ad avere a che fare con parenti difficili. Come mai?
«Credo che in tutte le famiglie ci sia un aspetto di padre e madre che sfugge ai figli. Mettere in scena relazioni complicate è solo un modo di rendere più interessante la ricerca della soluzione di questo mistero. Certo, i Fang sono atipici. Ai loro bambini, a un certo punto, dicono: “L’arte per noi è la vera priorità, fare i genitori viene dopo”».
E lei che rapporto ha avuto con i suoi genitori? Il suo papà, Kent, era un attore.
«Era un padre come gli altri, anche se preferiva portarmi al cinema piuttosto che al parco a giocare a baseball. Da questo punto di vista, se ho imparato a giudicare un buon copione, un bravo attore o una pessima commedia, lo devo a lui. Ogni volta che esce un mio film, prima di tutto spero che piaccia a lui, anche se so già che è contento del fatto che la nostra passione sia diventata il mio lavoro».
Da ragazzo pensava solo ad andare al cinema?
«No, a dire il vero ero un ottimo studente. Però non avevo un buon rapporto con i professori: ho dovuto cambiare due scuole, perché cercavo sempre di mettermi al centro dell’attenzione e, in certe situazioni, dire una battuta di troppo all’insegnante sbagliato può farti molto male. Crescendo sono diventato più timido e controllato, soprattutto adesso che devo essere un buon esempio per le mie figlie».
Che tipo padre è?
«Uno innamorato, preoccupato, ma anche felice. Nella più grande, Francesca, rivedo me stesso: le piace far ridere gli altri, vuole sempre l’ultima parola. La parte più importante dell’essere genitori è forse quella di insegnare ai tuoi figli a controllare la loro energia, a esplorare i loro talenti senza strafare».
Che cosa pensano le sue figlie di lei, che è un attore famoso?
«A volte viviamo strane situazioni. L’altro giorno, mentre eravamo in auto, passiamo davanti a un cartellone pubblicitario di un film e mia figlia fa: “Papà, quello sei tu”. Allora le ho chiesto che cosa ne pensasse e lei mi ha detto: “Mi fa sentire importante come una principessa”. Avrei voluto abbracciarla, ma invece ho fatto il genitore responsabile. E le ho detto che quello è solo il mio lavoro, non c’è nulla di cui vantarsi».
Pensa che sia attratta dalla celebrità? In fondo con due nonni e un padre attori, e un altro nonno musicista, è comprensibile.
«Non so, è presto per indagare. Sono felice della mia carriera, ma forse per lei vorrei qualcosa di diverso. Vedremo».
Ecco che viene fuori il “normal guy”, l’uomo ordinario che interpreta spesso nei suoi film. Ma che cos’è normale di questo tempi?
«L’istinto di non sentirsi mai superiore agli altri. Non è modestia, ma un senso di rispetto verso il prossimo che per molte persone ora non è più tanto comune».
E, così facendo, lei è diventato “l’uomo con le spalle larghe” anche sul set.
«In ogni commedia c’è bisogno di un personaggio che sia un punto fermo, che serva un po’ da contraltare rispetto alle situazioni assurde che lo circondano. Fa piacere essere sempre quello indispensabile».
Lei è speciale anche per un altro motivo: i 15 anni di matrimonio con sua moglie. Qual è il vostro segreto?
«Siamo prima di tutto grandi amici. Con una fidanzata può sempre andare storto qualcosa, ma di un amico non ti stanchi mai».
Tutto qui?.
«Amore e seduzione sono istinti semplici, siamo noi che poi complichiamo tutto. Io e mia moglie abbiamo avuto solo la fortuna di volerci bene senza farci del male».
Saluto Jason il bravo ragazzo e gli auguro di restare sempre così. Anche se, sotto sotto, al cinema vorrei vederlo almeno una volta dalla parte dei cattivi.
Armando Gallo, Grazia