(di Tiziano Rapanà) Ed io non berrò più il caffè, per protesta, per moto d’indignazione perpetua. Perché mi togliete la routine, me la trasformate senza la mia volontà. Barbara D’Urso, nel pomeriggio della quinta rete, è l’abitudine perfetta per chi vuole informazione + intrattenimento, per chi cerca il bello/brutto/leggero/ponderoso della vita. Il caffeuccio delle diciassette non ha più senso, non trovo più la voglia di riempire la moka e compiere il rito. Nella prossima stagione non ci sarà più Pomeriggio Cinque con Barbara D’Urso. Così si chiude una certezza del palinsesto televisivo. Mi toccherà leggere Stendhal o sforzarmi di capire il motivo persuasore che porto una mente illuminata come Sant’Agostino ad abbracciare il Manicheismo. Sì, era ancora giovane e da ragazzi siamo tutti ingenui. Ma vorrei averle tutte quelle motivazioni per farmi delle idee. Barbara D’Urso è un’artista meravigliosa che farà grandi cose, ci stupirà. Da spettatore la ricordo in un bellissimo film di Salvatore Piscitelli, Blues metropolitano, che ossequiava lo spirito della stagione creativa della Neapolitan power. E io adesso cosa faccio? Senza caffè e senza Pomeriggio Cinque, già vago con la mente al buio. Potrei riprendere la lettura dell’opera di Svevo, ma non voglio immergermi sulla descrizione dell’uomo inetto tra Alfonso Nitti e Zeno Corsini. Potrei andare direttamente alla fonte e inebriarmi di letteratura mitteleuropea, ma non ne ho voglia. L’uomo senza patria di Kurt Vonnegut mi aspetta sul tavolo da lavoro: è pronto per essere letto. Sfoglio le prime pagine e mi accorgo che questo mio piccolo spleen lo si giudicherà trascurabile. L’irrilevanza procede spedita. Abstine substine! Altro non posso fare.