La signora May Lee lavora al dipartimento delle finanze ed è anche la prima donna di origine cinese ad aver servito nella pubblica amministrazione statunitense
Che l’età non conta è cosa che si dice spesso, ma a cui spesso non si crede. La signora May Lee è la dimostrazione di quanto questa affermazione sia vera. Tutti i giorni va al lavoro alle 6 del mattino al Dipartimento Finanze della California dove controlla che il budget statale sia impiegato correttamente, senza sprechi. Il fatto eccezionale è che lavora qui dal 1943. La signora sorridente ha 99 anni.
May Lee ha alle spalle 76 anni di onorata carriera ed è pronta a proseguire. «Diciamo che posso andare avanti fino ai cento anni» ha detto scherzando alla festa per il suo compleanno. Al Dipartimento finanziario di Sacramento lavora da quando c’era ancora la Seconda Guerra Mondiale e ha servito sotto 10 governatori. Ufficialmente è andata in pensione nel 1990, ma lavora ancora, gratis, come volontaria, quattro giorni alla settimana.
Non è diventata famosa da 99enne questa donna, ma molto prima ed è un simbolo per molti. Grazie a lei venne cambiato l’articolo che vietava agli americani di origine asiatica (lei è di origine cinese) di essere assunti da aziende di stato o municipalizzate. Da studentessa aveva scritto una lettera per sottolineare l’incostituzionalità della legge e venne invitata al Congresso per presentare la sua posizione. Dopo è diventata la prima cinese americana del dipartimento di Finanze della California.
È stato un giornale locale, The Sacramento Bee, a raccontare la sua storia e a intervistarla facendo scoprire al mondo che il segreto della sua longevità sono le verdure, che però non ama cucinare. Il vero segreto pare però essere il movimento, per cinquant’anni non ha mai lavorato seduta e prima di entrate in ufficio faceva le scale per un’ora. Ancora adesso va dai colleghi con il deambulatore per portare loro documenti e consigli visto che è un’enciclopedia vivente nel suo settore. Il suo motto? «Se hai sempre da fare, ti godi meglio la vita».
Chiara Pizzimenti, Vanity Fair