LE POPSTAR CHIEDONO A BRUXELLES UN AIUTO CONTRO YOUTUBE

LE POPSTAR CHIEDONO A BRUXELLES UN AIUTO CONTRO YOUTUBE

In una lettera inviata alla Commissione Europea, oltre mille artisti accusano la piattaforma video di aumentare il «value gap» tra ascolti online e redistribuzione dei profitti. Tra i firmatari, molti big internazionali e italiani

youtubeLa crociata musicale contro YouTube sbarca in Europa. Oltre mille artisti (da Ed Sheeran ai Coldplay, da Laura Pausini a Fedez) hanno firmato una lettera inviata mercoledì 29 giugno al presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, in cui si accusa YouTube di sottrarre valore economico alla comunità degli artisti e degli autori di canzoni.

È un nuovo capitolo, il primo squisitamente europeo, della «guerra del value gap», in corso ormai da diversi mesi. La piattaforma video di proprietà di Google viene indicata come la principale responsabile del progressivo aumento nella distanza tra la quantità di musica ascoltata online (sempre di più) e i profitti generati per artisti e detentori di diritti (per singolo ascolto, sempre di meno).

Il confronto è stato inaugurato dalle principali case discografiche a inizio 2016, ma pian piano ha attirato anche l’adesione degli artisti, che hanno iniziato a criticare YouTube a livello individuale (vedi i casi recenti di Trent Reznor e dei Black Keys) o a rivolgersi collettivamente alle istituzioni. Poche settimane di quella inviata a Bruxelles, quasi duecento protagonisti della musica mondiale avevano imbucato una lettera molto simile, destinazione Congresso degli Stati Uniti.

Le richieste non riguardano solo aspetti economici, ma anche giuridici. Se la campagna può rientrare in una strategia contrattuale di breve termine (secondo il Financial Times, sono in corso le trattative per il rinnovo delle licenze dei contenuti tra YouTube e le tre major Universal, Sony, Warner), tanto al Congresso USA quanto alla Commissione Europea viene chiesto di eliminare uno dei cardini della prima legislazione digitale: quel concetto di «safe harbour» che ha permesso a servizi come YouTube di non correre il rischio di essere rinviati a giudizio a causa del caricamento da parte degli utenti di contenuti protetti dal diritto d’autore.

«Una regola vecchia», ripetono etichette e artisti, «scritta in un’altra epoca». Nel 2015, per la prima volta dai tempi di Napster, l’industria discografica ha fatto registrare un significativo rimbalzo nel fatturato globale (+3,2% per un valore complessivo di 15 miliardi di dollari), soprattutto grazie alla spinta degli abbonamenti a pagamento a servizi streaming come Spotify e Apple Music. YouTube rimane tuttavia uno dei principali distributori di musica su Internet: un jukebox fondamentalmente gratuito. L’azienda californiana ha risposto alle accuse sottolineando di aver versato tre miliardi di dollari in royalties all’industria discografica e che la maggior parte dei suoi contenuti è disponibile in seguito alla firma di regolari accordi con gli aventi diritto (accordi monetizzati con la pubblicità).

A differenza della lettera a Washington, firmata da artisti di lingua inglese (soprattutto statunitensi, ma con una robusta presenza britannica), la missiva spedita a Bruxelles presenta un campione di nomi geograficamente molto distribuito. Nonostante il peso specifico nettamente più rilevante sul mercato continentale, questo non era il periodo più adatto per inviare a Juncker una richiesta d’aiuto a maggioranza inglese. Nella lunga lista compaiono anche molti big italiani: tra gli altri, Biagio Antonacci, Francesco De Gregori, Elio e le Storie Tese, Fedez, Marco Mengoni, Francesca Michielin, Laura Pausini, Pooh, Subsonica e Zucchero. Testimonial di un braccio di ferro – complesso e direttamente legato ai moderni consumi musicali – che riguarda da vicino l’intera comunità contemporanea di artisti e creativi.

La rispsota di YouTube è arrivat nel pomeriggio:
«I servizi digitali non sono il nemico», si legge in un comunicato dell’azienda. «YouTube collabora con l’industria musicale per generare ancora più ricavi per gli artisti, in aggiunta ai 3 miliardi di dollari che abbiamo già pagato sino ad oggi. La stragrande maggioranza delle etichette e degli editori ha accordi di licenza in essere con YouTube e nel 95% dei casi sceglie di lasciare i video caricati dai fan sulla piattaforma e di trarre guadagni da questi video. Il nostro sistema di gestione dei diritti, Content ID, va ben oltre ciò che la legge richiede per aiutare i detentori dei diritti d’autore a gestire i propri contenuti su YouTube: i video caricati dai fan generano ad oggi il 50% delle loro revenue su YouTube. Infine siamo convinti che, offrendo maggiore trasparenza nelle remunerazioni agli artisti, possiamo affrontare molte di queste preoccupazioni».

La Stampa

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