Siamo l’unico mercato in cui le partite non vengono venudute in esclusiva e questo ha un riflesso immediato sul valore delle aste. Ora anche la germania, che le ha appena concluse per il prossimo triennio, vale molto più della nostra Serie A
C’era una volta il campionato più bello del mondo. C’erano Ronaldo e Ibrahimovic, Roberto Baggio e Zidane, Platini e Maradona. Poi il giocattolo si è rotto: lo sport ha iniziato a vacillare. Le televisioni che facevano a gara per poter trasmettere una sola partita hanno cambiato rotta, iniziando a giocare al ribasso. Un sistema che ha raggiunto il suo apice nel 2014 con un’intesa per la spartizione dei diritti tra Mediaset e Sky definita illecita dall’Antitrust che ha quindi sanzionato il Biscione con 51 milioni di euro e la piattaforma satellitare con 4 milioni (ritenendo la sua condotta “marginale e sostanzialmente difensiva”). Colpa anche di una legge – la Melandri – che di fatto mette gli interessi delle tv davanti a quello delle squadre. E così la Serie A ha prima ceduto il passo alla Premier League, poi si è dovuta inchinare alla Liga spagnola e alla Bundesliga tedesca: “Sono campionati più interessanti ” dicono gli addetti ai lavori.
Una sentenza che fa male come una pugnalata: le stesse tv che investono miliardi per i diritti dei principali campionati europei, riservano all’Italia solo le briciole. Un paradosso per un campionato che deve il 61% dei propri ricavi proprio alla vendita dei diritti televisivi: in nessun altro paese europeo la dipendenza economica è così sbilanciata. Colpa anche della mancanza di figure manageriali che non hanno saputo sviluppare altre fonti di ricavi, dagli stadi al marketing. “L’Italia non riesce ad aprirsi all’estero, mentre
in Asia il campionato inglese è un marchio riconosciuto “, dice Luca Petroni, partner di Deloitte responsabile dello studio sul settore. In Gran Bretagna dove è stato chiuso un contratto di vendita monstre da 2,3 miliardi di euro l’anno le tv pesano appena il 53%, mentre gli altri campionati restano sotto la soglia del 50%. Peggio: le cinque grandi leghe hanno visto il proprio valore crescere esponenzialmente con picchi del +83% per il rinnovo dell’ultimo contratto in Germania, mentre l’Italia si è dovuta accontentare di un +17% (l’incremento più basso). “Malgrado la crisi economica, il trend dei diritti tv è in continua crescita. E il dato tedesco è positivo”, dice il presidente della Serie A, Maurizio Beretta, che poi aggiunge: “Ci sono sempre margini di miglioramento, per l’Italia, in particolare sui mercati esteri”.
Con l’ultima tornata – in scadenza nel 2018 – la Serie A ha raccolto poco più di un miliardo l’anno. I motivi della debacle sono molteplici, ma secondo gli esperti la causa principale è nel ridotto numero di esclusive. All’estero ogni partita è trasmessa da un solo operatore, in Italia, invece, solo il 34% delle partite è in esclusiva, “un fattore che dal lato dell’acquirente riduce gli incentivi ad offrire cifre più consistenti “, osserva Augusto Preta, direttore di It Media Consulting che poi aggiunge: “Non va dimenticato che le partite vendute in esclusiva hanno un’attrattiva vicina al 10%, in pratica quelle senza le grandi squadre”. Un rischio che la Bundesliga ha voluto evitare scrivendo un bando di gara con una forte enfasi sull’esclusività e rafforzato dall’introduzione di una “no single buyer rule” (nessun può aggiudicarsi il 100% dei lotti in vendita) con una durata del contratto di quattro anni: Sky trasmetterà 266 partite, Eurosport le altre 40. Il risultato è notevole: i ricavi totali da diritti domestici sono passati a 628 milioni a 1,16 miliardi di euro a stagione. Un meccanismo, quello delle esclusive, che funziona allo stesso modo in tutto il Vecchio Continente, ma che in Italia ancora non riesce a prendere piede. Se all’estero l’obiettivo è quello di finanziare lo sport e l’industria del pallone nella speranza di migliorare strutture e spettacolo, in casa nostra pare che l’interesse sia piuttosto quello di tutelare le televisioni: un circolo vizioso che rischia solo di danneggiare il calcio come dimostrano gli stadi sempre più vuoti e il calo di ascolti in televisione.
Un trend negativo cui la politica vuole mettere un freno. Da tempo, infatti, si parla di una revisione della Melandri: entro l’estate le onorevoli del Pd Daniela Sbrollini e Lorenza Bonaccorsi presenteranno un nuovo disegno di legge d’intesa con Palazzo Chigi che vuole seguire da vicino la partita. L’obiettivo è di creare maggior concorrenza tra gli operatori, rivedendo anche il ruolo dell’advisor “che non può ricoprire più ruoli come inveca fa Infront”, spiega Sbrollini che con la riforma punta a massimizzare gli incassi della Serie A: “Vogliamo che aumentino le risorse per l’intero sistema sportivo e metteremo dei paletti sulla ripartizione degli introiti”. Punti fermi saranno quindi gli investimenti sui vivai e sugli stadi visto che lo Stato – almeno per il momento – non è in grado di finanziare lo sviluppo delle infrastrutture. “Le infrastrutture sono fondamentali per rilanciare lo sport, partendo anche dal basso” dice Giovanni Palazzi, numero uno della società di consulenza StageUp preoccupato dal fatto che il tema stadi sia stato il grande assente dell’ultima campagna elettore per le amministrative: “Rischiamo di realizzare strutture già vecchie, mentre all’estero lo stadio è un luogo di incontro e condivisione. Un posto sicuro”.
La nuova norma potrebbe quindi mettere fine all’unicum italiano che prevede la gestione dei diritti tv per piattaforma e non per prodotto: in sostanza la stessa partita è acquistabile da due diversi soggetti, uno per il satellite, l’altro per il digitale. Una comproprietà che non entusiasma più nessuno. Con l’ultima asta Sky ha provato a far saltare il banco presentando l’offerta più alta sia per il digitale che per il satellite, ma la Lega Calcio e l’advisor Infront – che gestisce la cessione dei diritti – bloccarono l’assegnazione dei diritti invocando lo spirito della legge Melandri che non vieta l’assegnazione dei diritti su piattaforma diverse, ma incentiva la pluralità dell’offerta. Una norma studiata per evitare le creazione di un monopolio negli anni in cui Sky si era già affermata e Mediaset Premium muoveva i primi passi. A distanza di anni, però, l’impianto non è ancora cambiato. “Se in gara ci fossero 6 o 7 soggetti il valore potrebbe anche salire – dice Preta – ma a queste aste partecipano solo due o tre operatori. La pluralità sarebbe comunque garantita dalla temporaneità delle esclusive”. Con il vantaggio di attrarre nuovi investitori: dal mondo del web e delle telecomunicazioni, come già accade in America e in Inghilterra, ma anche tra le televisioni, a cominciare da Eurosport che già due anni fa aveva mostrato un timido interesse per l’Italia.
Il caso inglese. La Premier League gestisce direttamente la vendita dei diritti tv domestici, senza un advisor e con il solo ausilio di un consulente tecnico. Gli inglesi riescono a strappare contratti astronomici – e in continua crescita – pur vendendo all’asta meno della metà delle partite: 168 su 380 nell’ultimo bando (periodo
2016-19), suddivise in pacchetti esclusivi. I ricavi passeranno da 1,4 a 2,3 miliardi di euro.
La Spagna. Con la nuova legge del 2015 la vendita dei diritti, che fino ad allora era stata affidata alle singole squadre, diventa centralizza e gestita direttamente dalla Liga. Gli spagnoli hanno messo all’asta 10 pacchetti esclusivi: i principali sono andati a Mediapro/BeIn-Sports e Telefonica/Movistar. Con questa operazione la Liga ha visto incrementare i propri ricavi da diritti tv domestici del 64%: da 600 a 983 milioni di euro a stagione. Rispetto alla Serie A, a far la differenza sono i diritti per l’estero che gli spagnoli riescono a vendere per 517 milioni l’anno contro i 185 milioni l’ano nostrani.
La Francia. Come Germania, Spagna e Inghilterra, la Ligue 1 gestisce direttamente la vendita dei diritti domestici, senza un advisor, ma con l’aiuto di un consulente tecnico. Tutte le partite sono state messe all’asta in pacchetti esclusivi: 114 a CanalPlus, 266 a BeInSports. L’incremento dei ricavi è stato del 20%, da 607 a 727 milioni di euro l’anno: un aumento superiore a quello della Serie A, ma comunque contenuto dal momento che la strutturazione dei lotti in gare rendeva contendibili solo i match più pregiati. Senza poi dimenticare che tra i campionati del Vecchio Continente, quello francese è probabilmente il meno interessante a causa dello strapotere del Paris Saint Germain, foraggiato dai petroldollari piuttosto che dalla televisioni.
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